Tu non c’entri

di Federica Scalzi



Fu il Centro.

E con esso il cielo stellato.

Poi esplosioni ed epicentri,

e capimmo di poter spostare il baricentro.

Dal sistema tolemaico all’eliocentrico,

teste e sangue in nome di esoterici nuovi saperi.

Seguì lo studio del centromero,

e intuimmo di poter essere o non essere centrati.

Intervennero gli accentratori,

e venimmo deportati in Centrali.

Qui cui né circolicentrini,

per potersi concentrare.

Ora egocentrici da centropagina,

con centravanti e beauty center.

Dovremmo essere più eccentrici,

e decentrarci senza averne timore.

Perché è della centralità della periferia

di cui ci dovremmo curare.


Ci si vede tutti in centro,
e non in quello commerciale.


Se l’evoluzione del mondo si può raccontare con parole derivate e composte di centro, si rifletta su quanto altrettanto non sarebbe possibile farlo con il sostantivo periferia. Questo sottolinea la costante importanza del concetto di centralità all’interno dell’intera storia umana. 

Con centro si identificano i punti degni della nostra attenzione, gli oggetti o le persone principali intorno a cui il nostro discorso si sviluppa. Penso altresì che lì ci sia già troppo rumore.
Mi piacerebbe volgere i nostri sguardi un po’ più in là, sperando di sollecitare dubbi e curiosità in grado di spostare il nostro interesse agli estremi, dove si posiziona la profonda conoscenza del sé e dell’altro, in un rapporto di interdipendenza e cura che dovrebbe essere centrale in una comunità. Proprio ai margini, infatti, lì dove Fantàsia si scontra con Realàsia, ci si avventura nel mondo concreto delle differenze che rappresentano l’unicità del singolo. 

Ipotizziamo di immaginare chi, quotidianamente, ci circonda: un bimbo di cinque anni, una zia minuta, un nonno un po’ sordo e claudicante, un vicino con disabilità, un amico con una gamba rotta, un’infermiera moldava, un mendicante e una donna incinta di sette mesi.
Questi individui sono tutti così straordinariamente ordinariamente diversi.
Per cosa? Per morfologia, per cultura, per abilità fisiche, per genere, per età, per esigenze.
Ciò nonostante siamo tutti soggetti a leggi e protocolli basati su modelli di riferimento standard. Una simile omologazione sminuisce in maniera implicita le nostre differenze, ignorando i reali bisogni e, nel peggiore dei casi, i nostri diritti. Tutto perché il baricentro delle scelte, nella maggior parte degli ambiti, è rappresentato dal cosiddetto uomo medio. Secondo tale principio dovremmo essere mediamente bianchi, occidentali, alti un metro e settantacinque, con un peso di settanta chili, normodotati, di trentacinque anni e preferibilmente maschi e cisgender. Concorderemo sul fatto che i soggetti presi come esempio non rientrano in questi parametri.
Viviamo in una realtà contemporanea immersa nella datificazione: dalla personalizzazione delle esperienze alla targetizzazione di nuovi prodotti. Il nostro è un contesto in cui i dati ci sommergono e sono diventati la vera essenza della strategia della data-driven economy e della propaganda politica.
Nonostante siano numeri stupendi capaci di dimostrare una più chiara lettura degli eventi, il vero paradosso di questi dati consiste nel modo in cui sono usati: con considerevole sapienza nella digital marketing communication e con assoluta superficialità e manipolazione nella progettazione, sia della cosa pubblica che nell’ambito del privato. “Potrebbero essere la chiave per una narrazione della storia diversa” dice Donata Columbro: grazie alla data-science potremmo riconoscere le differenze biologiche e le diversità sociali evitando che queste si traducano in discriminazioni e diseguaglianze. I dati ci potrebbero indicare la strada migliore, a patto che questi esistano o che vengano interpretati correttamente. 

Se i dati particolari che sarebbero in grado di rappresentarci con le nostre disuguaglianze mancano, ne conseguono gravi problemi per la nostra comunità.
A conferma di ciò Linda Laura Sabbadini, Direttrice presso l’Istat, ha definito “economicocentrica” la modalità di raccolta dati degli anni passati sottolineando quanto questi siano stati utilizzati tenendo in considerazione esclusivamente il lato economico dei soggetti produttivi e ignorando tutti gli altri aspetti. Attenzione merita un’ulteriore frase del suo intervento “Rendere Visibili gli Invisibili” in un recente Ted Talk: “La statistica è fondamentale per la vita di una democrazia.”

Chi è incapace di riconoscerci come individui reali ignora le vere contraddizioni e complessità della nostra natura umana. Veniamo pertanto socialmente puniti in quanto non conformi all’uomo medio e la punizione diventa vitale in molti casi. 

Non è per cui assurdo sostenere che in Realàsia si muore. Fisicamente, intellettualmente e psicologicamente.


Ci si vede tutti in centro,
quello di salute mentale.

  1. Fantàsia è il nome del Regno in cui è ambientato il romanzo La Storia Infinita di Michael Ende. Fantàsia nel racconto viene minacciato dal Nulla, un’oscura entità che ne distrugge le terre.
  2. Nome inventato contrapposto a Fantàsia per indicare il “Regno” reale in cui noi lettori viviamo, anch’esso minacciato da entità.
  3. Circondare, verbo composto da circum da cui deriva anche circonferenza a sua volta calco della parola greca περιϕέρεια, periferia. Fonte: Treccani.
  4. Datificazione insieme a Proceduralità è uno dei paradigmi della moderna società mediale definita in “Plenitudine Digitale” di Jay David Bolter.
  5. Data-driven, letteralemente “guidato dai dati”, è unprocesso decisionale basato su informazioni estraibili dai dati.
  6. Donata Columbro, giornalista e data humanizer. Estratto da “Dati per illuminare il cambiamento”, un intervento del Festival del Fundraising.
  7. Attuale direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica presso l’Istat, l’Istituto Nazionale di Statistica.

Immagine in evidenza: Federica Scalzi, Dalla periferia al centro – Sovrapposizione di differenti persone riprese dall’alto,
Digital work: Blender, Illustrator e Photoshop.

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