di Luca Marmello

Un paio di settimane fa disegnai una porta su una parete della mia camera. E da quando lo feci, cominciai a sentire ogni notte un rumore di scricchiolii e cardini arrugginiti. Un suono distante, quasi intorpidito, come se appartenuto ad un fumoso sogno sfuggito al mio subconscio, qualcosa che non riuscii mai veramente a captare. Iniziai a sentirlo di continuo.
Ovunque. Una notte provai a non dormire, la curiosità che nasceva dallo scoprire l’origine del mio dubbio diventò insistente, ed ebbi il bisogno di dipingere la veritá sopra la tela della notte. La porta si aprì alle 03:03 del mattino. Dal nero seppia del buio pesto uscì timidamente qualcosa, un passo dopo l altro, una mano dopo l altra. Sembrò fissarmi, non ne fui sicuro. Ben presto cominciò a curiosare all’interno della mia camera. Osservava con una calma che mi ipnotizzava. Ero terrorizzato, avevo paura che da un momento all’altro le sue dita, che sembrava volessero afferrare granelli di nulla, mi avrebbero stretto per trascinarmi in chissà che funebre delirio fatto di immagini frammentate come in uno specchio rotto. Doveva solo accorgersi di me, e una volta fatto, mi avrebbe preso. Quando arrivò ai piedi del mio letto l’adrenalina mista a terrore che mi pompava nelle vene cominciò a bruciare e iniziai a percepire il desiderio di evadere dal mio corpo, solo che non riuscivo a muovermi.

Quando si accorse della mia presenza rimase immobile. Le mie mani sudavano stringendo la coperta che mi avvolgeva fino al naso, lasciando scoperti gli occhi. Dovetti guardare quella figura, anche se mi mozzava il fiato, dovevo fissare quell’incubo come follemente calamitato verso il misterioso e attraente oblio che esso generava nella mia testa.

Ben presto il mio volto cominciò a tremare mentre provavo con tutto me stesso a non sbattere i denti dall’angoscia. Quell’ombra continuò a guardarmi, e in quel gioco di sguardi avrebbe sicuramente vinto lei. Ero pietrificato. Ad un certo punto se ne andò, rientrando nella porta che avevo disegnato sul muro. La richiuse e svanì. Poco dopo mi sembrò di addormentarmi, come non lo seppi nemmeno io. Una percezione che intossicava l’aria con un dolciastro odore di incenso che avvolse i miei occhi mentre si chiudevano in uno sfondo di paura, dove la realtà del terrore mi ricordava di esistere e di essere sempre al mio fianco. Quella notte sognai di morire, e mentre morivo vidi me stesso che mi osservava dai piedi del letto. Era più giovane, aveva circa 15 anni, forse meno, e sebbene il suo volto rimase nebuloso, i sui
occhi, invece, li potei vedere con grande nitidezza: due palle che sembravano rubini incastonati in una coltre antracite immersa nella sfumatura di un allucinazione a caleidoscopio.

La mia controparte in piedi guardó all’interno della mia tomba e vi trovò l’immagine distorta del mio corpo, e in un silenzio assordante mi disse tutto quello che sapeva di me. La sua dilaniante voce silenziosa conosceva ogni mia sfumatura, persino quello che disprezzavo, persino i miei sogni e tutti i fantasmi, uno per uno.
Capii perfettamente quello che voleva dirmi nonostante il silenzio acre e penetrante, ma era talmente acuto e frastornante che percepii comunque la sua voce, la mia. Non lo rividi più.
Era svanito.
La porta che avevo disegnato rimase aperta, e per un bel pezzo non si richiuse più.

immagine in evidenza: Jared Tarbell, the magic door …has been opened.

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