Anatomia del potere

di Massimiliano Zinnanti

La cantante Björk (1965) in un intervento natalizio del 1988 fa un’eccentrica considerazione sulle interiora di un televisore. Tra le menzogne di un poeta islandese e le verità della scienza sugli elettroni che generano le immagini, la ragazza procede con lo smontare l’apparecchio evidenziando chirurgicamente come i suoi visceri, costellati da valvole e schede, sembrino una città. Anatomia lucente di una metropoli, mosaico di nervi che vanno dai limiti del buio di ciò che ancora non è connesso, ai margini del controllo, sino al sole palpitante del potere.

Il corpo è la misura del cosmo. Nel dare misura, nella volontà di capire, echeggiano le metriche del sistema. Il germe del potere si cela nello sminuzzare l’ignoto sino alla monade, così da poterla governare, isolata dalla sinfonia dell’universo. La gerarchia è innata di ogni sistema umano, ci sarà sempre una testa e ci saranno sempre dei distretti anatomici inferiori, periferiche.

Guardando a un ritratto dopo la prima visione gestaltica sarà inevitabile l’emergere come di frattali, dei quadri nel quadro, focalizzandosi sui dettagli più attraenti per le nostre corde estetiche e per mezzo delle discriminazioni corporee. Il corpo è periferia della testa, le orecchie del viso, il naso lo è della bocca e la bocca degli occhi e tra loro un duello di asimmetrie ne celebrerà uno sull’altro. Resterà infine l’iride a fare da ultimo perimetro del cratere dove annega tutto, la pupilla.

Per Georges Bataille (1897-1962) l’uomo è l’unica creatura ad aver fatto sua la direzione verticale, per poi interrompere la sua evoluzione quando stava per sviluppare l’occhio pineale, che si sarebbe aperto sul cranio per fissare, con incandescente adorazione, il sole.

L’erezione umana parallela la verticalità del potere, in un mondo animale di trasformazioni orizzontali bilanciate non come parti ma come un mare armonico.

La geometria del potere ama i numeri dispari laddove la parità crea confusione di ruoli, dialogo e equità di controllo. Se c’è una testa tra le teste avremo un pratico tiranno per tarare il potere e schiavizzare le periferie. Ma come il nostro stesso cranio non vuole ammettere, siamo due e mille in uno e in natura si hanno infinite rimostranze verso l’autorità della testa. La parità è libertà reciproca, connessione orizzontale e tutto ciò che invece sale innesca la gravità.

Il Minotaure dei surrealisti era il sovrano e vittima del dedalo dell’irrazionalità, ma oggi si ribalta nel desiderio di perdersi, scollegarsi dall’angoscia perpetua di dover espandere il proprio limite. Aneliamo alla labirintite e l’orecchio è emblema della follia e salvezza contro la verticalità. Nella sua foggia, collocazione e funzione si presta alla massima resa solo se ammirato di lato: un buco in testa. Il viso dev’essere voltato per centrare l’orecchio che in quei suoi piccolissimi e inquietanti ingranaggi ossei possiede l’illusione dell’equilibrio.

I vertici dell’assoluto laddove non sono presi sul serio, come dal basso del videoludico, tremano per la vertigine. Si materializzano come grazie a un reverse-engineering culturale sul sistema, e pixel dopo pixel Dio stesso si destabilizza e declina in forma. Le ali artificiali di coloro che si sono fatti angeli si stanno bruciando non perché troppo vicine al sole. Il fuoco viene da sotto.

Scriveva Bataille nell’opera il cui stesso titolo è il connubio del centro celeste e la più bassa periferia funzionale del corpo, L’Ano solare

“[…]presto o tardi di là (dal basso) verrà un’eruzione scandalosa nel corso della quale le teste asessuate e nobili dei borghesi saranno mozzate.”

Bibliografia:

Georges Bataille, L’Ano Solare, 2017 SE, Milano.

Vari, Minotaure (rivista di 12 numeri), 1933-1939, Skira, Parigi.

Immagine in evidenza: Massimiliano Zinnanti, Marie – dettaglio dal Trittico di Wozzeck (2018)

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