di Mariapaola Infuso

“Qui il fiore nero riacquista l’attenzione che aveva perso nel mondo del consumo e dello sfruttamento[…]”, così l’artista Sissel Tolaas descrive l’installazione site specific vah-NIHL-uhhhhh (2022) realizzata presso l’ICA di Philadelphia. L’opera è un assemblaggio di condotti di aerazione che pendendo dal soffitto, diffondono tre diversi odori di vaniglia: pura, sintetica e vaniglia trovata nei cibi lavorati. Questi richiamano l’attenzione sulla mercificazione della pregiata spezia, diventata una risorsa sempre più scarsa, ma anche sul piacere ampiamente accettato che le persone provano per questa fragranza. La vaniglia è infatti apparentemente l’odore più popolare sulla terra, per una ragione semplice e universale: la molecola di vanillina è il principale composto organico presente sia nel latte materno che nel suo sostituto artificiale. Per questo motivo risulta familiare e confortante per molti. Aromi e fragranze svolgono un ruolo fondamentale nell’industria della trasformazione alimentare, donano odore e sapore ad alimenti che ne sono privi, incentivando il loro consumo. In generale, gli aromi naturali e artificiali sono percettivamente identici, ma se da una parte quelli naturali sono realizzati estraendo sostanze chimiche da ingredienti presenti in natura attraverso processi fisici, microbiologici o enzimatici, gli aromi artificiali sono invece realizzati creando sinteticamente le stesse composizioni chimiche.  Questi agenti aromatizzanti, prodotti in un ambiente di laboratorio controllato sono sottoposti a verifiche di qualità e non richiedono un processo di estrazione lungo, dispendioso in termini di manodopera e risorse o l’acquisizione di materiali naturalmente rari e difficili da coltivare. Pertanto, molti aromi artificiali risultano disponibili in una purezza maggiore rispetto ai loro rispettivi naturali e possono essere ottenuti con meno danni all’ambiente.

L’artista Sean Raspet ed il chimico Shengping Zheng, hanno collaborato insieme per la creazione di una nuova molecola, utilizzata per la produzione della loro opera: Hyperflor© (2-benzyl-1, 3-dioxan-5-one), una fragranza profumata mai esistita prima. Si tratta di una molecola che non era presente in natura o nella letteratura scientifica prima della sua creazione avvenuta nel 2018 per via della collaborazione tra i due ricercatori. Per l’Okayama Art Summit del 2019, la molecola venne diffusa nell’aria in diversi luoghi della città, suscitando nei passanti richiami proustiani di una natura da cui non ha direttamente avuto origine. In seguito, fu descritta da alcuni con un aspetto floreale molto forte anche in alta diluizione e nonostante sia interamente sintetica, è percepita come un profumo più naturale, complesso e completo rispetto a quello delle molecole profumate presenti in natura. Altri invece la descrissero come il gusto di quando si addenta una mela; verde-erbaceo. 

Non solo gli aromi e i profumi, ma anche i colori sono oggetto dell’industrializzazione del metabolismo umano. Per esempio, il comunemente conosciuto rosa salmone è una tonalità che pur rimandando alla carne del pesce da cui prende il nome, non ha nulla di naturale poiché il salmone cresciuto in cattività presenta una carne tendenzialmente grigiastra. La ricerca artistica del duo Cooking Sections (composto dagli artisti Daniel Fernández Pascual e Alon Schwabe), presentata alla Tate Britain nel 2020 e intitolata Salmon: The Red Herring, vede come oggetto d’indagine proprio la moderna industria del salmone. All’interno di tali allevamenti, i pesci vengono alimentati con pellet contenenti astaxantina rossa – pigmento presente nei gamberetti e nei krill – per permettere ai salmoni di metabolizzare il colore rosato. A supporto di questa pratica, tanto assurda quanto attuale, all’interno dell’omonimo libro riferito al progetto artistico, è presente il SalmoFan™ della DSM-Firmenich, un grafico a colori brevettato che serve a valutare la salmonità del pesce per certificarne l’accettabilità da parte dei diversi mercati (“Salmone giapponese” è un rosso intenso, mentre “London Salmon” è una tonalità più chiara, tra l’arancione e il rosa). Tale ricerca, mette in discussione l’appagamento della percezione visiva umana in merito alle scelte alimentari. Per via di certi legami culturali e culinari, grazie alle attuali potenzialità chimiche e tecnologiche, la materia vivente viene manipolata, compromettendo il precario equilibrio del pianeta e facendo dell’alimento commerciale un’altra finzione consensuale. 

Diverse sono anche le sperimentazioni legate alle nuove frontiere culturali del cibo creato in laboratorio; un esempio capace di generare esperienze culinarie completamente nuove è la tecnologia della carne in vitro. Nato nel 2014, il Bistro In Vitro, fu il primo ristorante fittizio al mondo a proporre piatti di alta cucina preparati con carne di laboratorio. Nonostante sia un progetto di dieci anni fa, il ricettario In Vitro Meat Cookbook è un’esplorazione visiva di 45 ricette speculative che la carne coltivata in laboratorio potrebbe offrire. Le preparazioni culinarie sono accompagnate da interviste e saggi di scienziati, attivisti, filosofi e chef sull’argomento, ancora molto dibattuto, del rapporto  naturale/artificiale in cucina. 

In un mondo pieno di biodiversità microbica, l’ossessione culturale moderna per l’antisepsi, comporta alle volte anche l’eliminazione (o poca considerazione) di quei batteri che sono benefici per l’ecosistema umano. Per questo motivo, le bio artiste Tereza Valentova e Alice Vandeleur-Boorer hanno mescolato performance, arte e tradizione culinaria per produrre Vaghurt (2014): uno yogurt fatto di microrganismi benefici trovati all’interno dei canali della vagina. Questi batteri, appartengono alla stessa classe dei lactobacilli, responsabili della trasformazione del latte in yogurt. La loro ricerca, per quanto controversa, si poneva l’intenzione di esplorare nuove possibilità e capacità alternative per la futura produzione alimentare nell’ambito della biologia sintetica e della biotecnologia, mostrando il potenziale della capacità molecolare del corpo umano. 

Più recente, infine, il gelato alla vaniglia ideato dalla designer Eleonora Ortolani in collaborazione con la scienziata e ricercatrice dell’Università di Edimburgo Johanna Sadler. In seguito alla scoperta fatta da alcuni scienziati scozzesi che, utilizzando batteri ed enzimi, è possibile scomporre un composto chimico della plastica e convertirlo in un ingrediente  la cui composizione chimica è praticamente identica a quella della vanillina, la designer ha voluto creare un alimento che mettesse in discussione le nostre abitudini alimentari. Guilty Flavours (2023), una coppa gelato esposta all’interno di un frigo blindato, è una proposta radicale (e per il momento ancora non edibile) su come gli esseri umani possano sfruttare il proprio corpo come macchina per eliminare per sempre la plastica, ovvero mangiandola. 

Le ricerche artistiche qui proposte rivelano come la natura, anche in ambito alimentare, è sempre meno la misteriosa forza nutritiva emersa con la nascita dell’universo, ma bensì un qualcosa che noi stessi stiamo ricreando e manipolando artificialmente. Immergersi nella natura oggi significa scoprire strati di sfruttamento caotico delle risorse e di “miglioramenti” apportati dall’uomo. La natura autentica può essere più artificiale che naturale, perché molto più spesso si sostituisce ciò che conoscevamo come natura con un nuovo tipo di natura: l’artificiale. Gli artisti che oggi riescono a cogliere l’utilizzo delle nuove tecnologie e l’applicazione delle scienze, hanno un’opportunità molto più diretta di indagare le nuove idee di natura. In questo contesto, non esiste più una realtà assoluta, ma la possibilità di molteplici realtà, ognuna naturale o artificiale come le altre.

Sitografia

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