I sigilli della raggiunta libertà

di Erica Bouvier

Il terzo libro della Gaia Scienza si chiude con un aforisma in cui Nietzsche si chiede: «Che cos’è il sigillo della raggiunta libertà? Non provare più vergogna davanti a se stessi». Perché proviamo vergogna? Che cos’è questo oscuro e opprimente sentimento? In un certo senso, vergognarsi di una parte di sé è il tentativo di occultare quella stessa, ritenuta inaccettabile, non conforme. Se spingiamo un po’ oltre il ragionamento, potremmo quasi arrivare a dire che la vergogna, in quest’ottica, è un modo come un altro per mentire a se stessi, per non accogliere la verità delle proprie inclinazioni, dei propri impulsi e dei propri desideri, in favore delle convenzioni a cui siamo stati abituati. Nietzsche sembra guidare il proprio lettore in un tortuoso percorso di dismissione degli obblighi e delle imposizioni sociali, il cui obiettivo principe è la raggiunta libertà.

Il tagliente aforisma nietzschiano è riemerso nella mia memoria a proposito di due romanzi femminili della seconda metà del Novecento: il capolavoro di Goliarda Sapienza, L’arte della gioia (1976) e il libro di esordio di Melania G. Mazzucco, Il bacio della Medusa (1996). I due testi, diversi per molteplici ragioni, hanno una somiglianza fondamentale: entrambe le storie ruotano attorno alle vicende di donne, protagoniste indiscusse della narrazione. Le due donne, la Modesta di Sapienza e la Norma di Mazzucco, sono calate nel clima storico del primo Novecento. In un tale contesto, in cui soffocante è il dominio maschile e la pressione della cultura patriarcale, ha inizio la loro parabola di liberazione.

Modesta si dimostra fin dall’infanzia restia ad accettare qualsiasi tipo di imposizione dall’alto: ricerca, con convinzione e forza d’animo, il suo posto nel mondo, il suo modo di sentirsi e agire nello spazio relazione. Donna di raffinata intelligenza e dalle bollenti passioni, Modesta viene seguita dal lettore in un cammino di autodeterminazione che la porterà a diventare padrona di un palazzo nella campagna siciliana, ma soprattutto di sé. Goliarda Sapienza ci racconta le vicende di una donna che ha accettato il suo destino di emarginazione rispetto alla comunità, che la osserva con un misto di riverenza e disgusto, pur di aderire completamente a se stessa.

Mazzucco costruisce un personaggio speculare e al contempo antitetico rispetto a quello di Sapienza. Norma viene cresciuta dal solo padre e si forma, dunque, con la convinzione di avere un posto preciso nella società, quello dell’ombra e del sorriso aggraziato. Data in sposa a Felice Argentero, ella vede nel matrimonio il compimento del proprio destino. I suoi desideri, però, placati dietro il velo di rispettabilità sabauda, esplodono con l’arrivo della giovane Medusa, con la quale si lega sentimentalmente. Alla consapevolezza di aver vissuto nella menzogna fino a quel momento, di aver schiacciato la propria possibilità di decisione, segue la disperata ricerca di libertà di Norma, dai toni nettamente più cupi rispetto a quella di Modesta. La sua liberazione, infatti, viene soffocata dal marito: violata, aggredita e infine rinchiusa in un manicomio, Norma viene sommersa dalla violenta cultura patriarcale.

I corpi di entrambe le donne diventano, in conclusione, il sigillo della raggiunta libertà: per Modesta, fonte principale di piacere e mezzo per l’espressione di sé, per Norma mutilato, offeso e negato. La sorte tragica di Norma può dirci quanto possa essere pericolosa la strada verso l’emancipazione. A questo punto, sorge spontanea la seguente domanda: 

siamo disposti al rischio pur di liberarci di una vita nella menzogna?

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