Instagram: la menzogna orizzontale e la memoria visiva

di Stefano Pasquini

Tutti i giorni sfoglio Instagram. Quando l’app ha cominciato a prendere piede mi piaceva moltissimo, perchè pubblicava le immagini in tempo reale e in ordine cronologico, per cui tutte le persone che noi seguivamo apparivano in tempo reale. Era bello vedere arrivare la sera a New York, oppure scoprire che tanti amici della grande mela erano alla stessa importante inaugurazione, vedere i loro scatti quasi in tempo reale, era un po’ come essere lì con loro. Una delle cose belle dei social è proprio la possibilità di scovare persone con interessi specifici, che collimano con i tuoi, e acquisire ulteriori conoscenze, scoprire cose curiose, appassionarsi di qualcosa di nuovo.
Poi, improvvisamente, Instagram viene acquistata da Facebook, e poco dopo il suo algoritmo di apparizione delle immagini cambia. Il comunicato ufficiale ci informa che non vedremo più i post in ordine cronologico, ma a seconda delle nostre preferenze, vedremo i post che ci “piacciono di più”. Dopo qualche anno scopriamo cosa questo vuole dire: vediamo meno poveri e più ricchi, case più in ordine e meno sporche, foto più colorate e meno scure, persone più bianche e meno nere. Ma a volte la vita è povera, sporca e scura, e sicuramente una persona di colore dovrebbe avere gli stessi diritti di apparire sui social di tutti gli altri. Infatti tante furono le lamentele degli utenti, che rimasero purtroppo inascoltate. Malgrado questa scelta poco democratica, il bello di Instagram rimane che di base, è un social prettamente estetico. Sì, con una foto si possono comunicare tante cose (gli account più noiosi ci mostrano quello che mangiano, ad ogni pranzo o cena, o i paesaggi che gli passano davanti agli occhi) ma quello che tantissime persone fanno – e non sono artisti – è un progetto. Un progetto semplice, editoriale, in cui decidono che posteranno soltanto foto della loro scimmietta, o di cose quadrate, o cose solo verdi, o solo il mare, le nuvole, la fidanzata. Il bravo Gianni Colosimo – che al contrario è artista, eccome – invece, tutti i giorni pubblica la stessa foto nera, bilingue, che recita: “Anche oggi, 21 febbraio 2021, ho deciso che il babelico e pornografico universo delle immagini debba avere fine”. Colosimo sa benissimo che le immagini non finiranno mai, anzi, sovrappopoleranno la nostra esistenza per sempre, a livelli impensabili. Si dice che nel 2012 siano state scattate più fotografie che dalla prima fotografia di Niépce (1826 o 1827) al 2011. E probabilmente Instragram è stato complice in questo sovrappopolamento di
immagini. Naturalmente per gli artisti Instagram è utilissimo, per mostrare il proprio lavoro, per le gallerie è uno strumento di vendita, e per un sacco di persone è semplicemente uno strumento di memoria. Ed effettivamente gli account più veri sono anche quelli più semplici, quelli di una famiglia che vede i figli crescere, quelli di persone che postano il loro outfit, o le avventure del loro cane.
Dunque malgrado stiamo navigando all’interno di una menzogna, ovvero di un mezzo filtrato da algoritmi che non hanno nulla a che fare con le nostre preferenze e scelte filosofiche, Instagram rimane un mezzo orizzontale che ci dà l’opportunità di sfoggiare il nostro impeto creativo come canale di espressione, oltre a lasciare una memoria del nostro essere, qui ed ora.

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