La nostalgia del cinema muto

I valori del cinema dei primi del Novecento persi nell’evoluzione dal cinema muto a quello sonoro.

di Gianluca Vighetti

Il cinema ci mise molti anni a nascere e, come in molti casi succede con le grandi invenzioni del 1800, questo processo di creazione fu caratterizzato da molti step, concatenati uno all’altro fino ad arrivare al brevetto dei Fratelli Lumière. Nelle sale dove venivano proiettate le prime pellicole era solito sentire un grande “rumore”, che adesso invece è un suono vintage e soave, generato dal cinematografo che proiettava lo scorrere delle immagini su grandi teli bianchi. Ma non era solo lo strumento di proiezione a riempire il vuoto lasciato dal “silenzio” del film, ebbene sì, essendo il cinema un’invenzione spaventosamente geniale per il pubblico del tempo, gli spettatori tendevano a spaventarsi e gridare o semplicemente a parlare col vicino alla vista di certe immagini, ciò creava solitamente un brusio facilmente avvertibile fuori dalle sale dove venivano organizzati i primi spettacoli.
Quindi potremmo dire che il “cinema” come luogo fisico non è mai stato muto, infatti nei primi teatri o sale di proiezione dove venivano distribuiti i film all’inizio del 900 spesso si poteva assistere con l’accompagnamento musicale di un pianista o, per le produzioni più grandi, immaginiamo per esempio Cabiria (1914) del regista italiano Giovanni Pastrone, oppure The Birth of a Nation (1915) ed Intolerance (1916) del grande D.W. Griffith, si esibivano in accompagnamento alla pellicola intere orchestre.
Lo step successivo della grande invenzione del cinema era quindi quello di eliminare il fastidioso rumore generato dal cinematografo, questo fu uno degli step più complicati, il vero problema non era la tecnologia, che già all’alba degli anni Dieci avrebbe permesso di registrare e riprodurre i suoni, ma la paura delle case di produzione verso questi investimenti tecnologici definiti pericolosi, perciò si preferì mantenere le soluzioni sopra citate per distogliere l’udito del pubblico dal rumore dello scorrere della pellicola.
Il cinema muto, nonostante non raggiungesse l’ideale del cinema concepito come “finestra sul mondo” ovvero un’arte che dovesse riprodurre la realtà fenomenica, come teorizzava Rudolf Arnheim, garantì una collezione di pellicole che rimarrà alla storia, come gli stessi attori, capaci di mantenere la struttura della vicenda sulle proprie spalle, affidandosi solamente alla loro interpretazione totalmente fondata sul linguaggio non verbale. Uno dei più grandi dei tempi d’oro di Hollywood, fu sicuramente Charlie Chaplin (1889 – 1977), al secolo Charles Spencer Chaplin, ma meglio conosciuto dal pubblico come Charlot, nato in Inghilterra e sbarcato negli States dove da capo comico diventò una celebrità del cinema muto, grazie alla sua capacità di interpretare parti comiche senza nemmeno poter pronunciare una parola. La comicità di Chaplin infatti era fondata sul suo modo di muoversi nell’inquadratura, sull’uso di gesti, espressioni e smorfie e sul suo rapporto con gli oggetti di scena. Altri grandissimi esponenti del cinema muto furono il padre della nuova comicità Buster Keaton (1895 – 1966) e “l’uomo che si amava odiare”, come lo definì il pubblico, Erich Von Stroheim (1885 – 1957).
Si arriva poi agli anni della svolta, la Warner Brothers, sull’orlo della bancarotta decide di compiere una decisione che segnerà la storia del cinema e con il film Don Giovanni e Lucrezia Borgia, diretto da Alan Crosland nel 1926, dà inizio all’era del cinema sonoro.
A questo film, accolto favorevolmente dal pubblico, seguirà l’anno successivo, Il cantante di Jazz sempre di Crosland, che ottenne un enorme successo, successo che spinse poi le altre case di produzione a seguire l’esempio della Warner, facendo sì che già dall’inizio degli anni Trenta il cinema muto sparisse dalle sale americane e a distanza di due anni accadde lo stesso in quelle europee.
Questo cambio radicale portò registi, attori e teorici del cinema ad interrogarsi sull’entità del cinema sonoro e sui vantaggi o sugli svantaggi che avrebbe potuto portare alla struttura narrativa. Tra chi supportava l’introduzione di questo nuovo mezzo troviamo: Béla Balàzs, che elaborò una teoria sul corretto utilizzo del sonoro in funzione dialettica rispetto all’immagine e al montaggio, e i grandi registi e teorici sovietici come Sergej Ejzenštejn e Vsevolod Pudovkin. Mentre ci furono studiosi che criticarono questo nuovo cinema, per esempio Arnheim, che nel libro Film als Kunst (1932) nega valore artistico al cinema sonoro perché, nel suo “naturalismo”, annulla gran parte dei caratteri peculiari del cinema come linguaggio espressivo autonomo.
Oltre alle critiche, sorgeva un altro problema nelle nuove produzioni sonore, che vedevano un grande arretramento rispetto alle conquiste linguistico-espressive alle quali era arrivato il cinema muto, questo problema era soprattutto dato dalle attrezzature per registrare, che limitavano molto la libertà di movimento degli attori e delle macchine da presa sul set.

Il regista e critico cinematografico Gianfranco Bettetini dichiarerà:
“La storia del cinema vede forse coincidere il suo punto di crisi maggiore con la scoperta delle tecniche di registrazione sonora e di sincronizzazione; tutta la produzione si orientò allora verso l’allestimento di spettacoli ricchi di dialoghi che non si staccavano per niente, nell’intenzione di chi li dirigeva, dalle formule della commedia teatrale.”

L’introduzione di queste tecnologie portò infatti un grande cambiamento all’interno del cinema, soprattutto perché molti attori non riuscirono ad adattarsi al nuovo modo di fare cinema e furono costretti ad abbandonare, altri sopravvissero ma il loro successo presto scemò e altri invece come Chaplin riuscirono a mantenere il loro status di Star.
Ma oltre agli attori stessi troviamo dei grandi cambiamenti sul piano delle interpretazioni.

Charlie Chaplin, dettaglio di un’inquadratura del film Il monello, 1921.

Esse infatti si incentrarono sempre di più sulla parte verbale della performance, tralasciando spesso la parte non-verbale, seppur di uguale importanza. Ma questo non è un problema che dopo pochi anni venne risolto, anzi, spesso lo riscontriamo tutt’ora nei film che escono nelle sale, basti pensare ai Cinecomic della Marvel, dove gli attori usano il loro corpo in rapporto con lo spazio oppure la loro mimica facciale per esprimere emozioni e sentimenti solo durante le scene di combattimento, mentre nelle normali scene dove i supereroi parlano tra di loro gli attori sono statici, finendo per sembrare delle statue e la vicenda viene narrata semplicemente dalle loro parole. Ma non dev’essere solo dell’attore la responsabilità di farcire la propria performance con un mix di comunicazione verbale e non; lo stesso regista dev’essere colui che, rispettando la struttura del film da lui sviluppata, deve dare precise indicazioni sul comportamento che l’attore deve assumere a seconda del contesto e del personaggio, con l’obiettivo di riuscire a trasmettere la tensione, la gioia, la paura anche senza far pronunciare parole all’attore. Prendiamo come esempio il regista britannico Peter Greenaway che nel suo film The Cook, the Thief, His Wife and Her Lover (1989), chiede ad uno degli attori principali di stare in silenzio per tutta la parte introduttiva del film, ma lo spettatore comunque riesce a capire i suoi stati d’animo, i suoi desideri e soprattutto riesce a scoprire qualcosa su di lui. Oppure potremmo citare il personaggio di Joker, che troviamo nell’universo di Batman, e nei film derivati: come villain in The Dark Knight (2008) del regista Christopher Nolan, interpretato da Heath Ledger; e come protagonista del film Joker (2019) diretto da Todd Phillips con Joaquin Phoenix ad interpretare il disturbato comico che si veste da clown. Questo personaggio, che è uno dei più grandi “cattivi” della storia dei Cinecomic e del cinema in generale, vede in questi due film le sue più grandi interpretazioni, che non sarebbero state tali se due grandi attori come Ledger e Phoenix non si fossero affidati a tutti e tre i linguaggi (verbale, para-verbale e non verbale) per trasmettere nel personaggio i problemi mentali, la follia e le stranezze che lo contraddistinguono. In conclusione questo intervento non si pone come obiettivo quello di screditare il ruolo del linguaggio verbale nel cinema, ma quello di sensibilizzare il pubblico sulla perdita che sta avvenendo nelle produzioni odierne di quelle tecniche, quegli ideali e quegli stratagemmi che facevano parlare il cinema muto. Nel corso dello scorso secolo e in quello attuale siamo passati da un cinema che non potevamo ascoltare ma che riuscivamo a sentire, ad uno che vuole solo farsi ascoltare dimenticandosi di farsi sentire.

Immagine in evidenza: Joaquin Phoenix nel ruolo di Joker, 2019.

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