Lo sguardo può modificare ciò che vediamo?
di Chiara Casorati
Il centro e la periferia dell’attenzione sono differenti nella visione educativa dell’adulto e nell’esperienza creativa del bambino?
Guardavo le foto di un asilo (età dei bambini 0-3) gestito da Ilenia Schioppetti.
Fra gli oggetti sparsi apparentemente senza criterio (fili, barattoli, pezzi di legno, matite, tappi, ecc.) appaiono, sotto i suoi occhi, forme ordinate di cui farò un solo esempio: una fila perfetta di ditalini di pasta, ciascuno con dentro un pezzo di spaghetto, in un fragile ma evidente equilibrio.
Il primo è uno sguardo lontano, periferico, coglie il disordine; il secondo si porta vicino e coglie il centro di diverse ricerche empiriche ed estetiche di umani dagli 0 ai 3 anni. È però frequente incontrare chi pensa ai bambini solo come esecutori: lavoretti di Natale, per la festa del papà, della mamma, Pasqua…Si fa così, si incolla lì, là si mette il giallo e qui il blu.
In una scuola materna (età 3-5 anni) in cui tenevo laboratori di argilla, la dirigente mi chiese, dopo pochi incontri, il lavoretto da consegnare ai genitori. Nelle mani di un bambino di quell’età l’argilla è terreno di studio sull’umidità, sull’evaporazione, sull’equilibrio delle forme, sulla solubilità, sul proprio peso che imprime un vuoto, sulle forme curve o dritte, sulla bellezza. Quando si parla di “esperienza creativa” a quest’età si parla, in realtà, di un insieme che comprende la conoscenza, la comprensione e la sperimentazione del mondo.
Interrompere questo flusso di concentrazione per ottenere un prodotto? Vedo che un bambino ha fatto una piccola poltrona: sarebbe perfetta per la soddisfazione della dirigente. Un istante dopo nelle sue mani c’è una palla.
“E la poltrona?” – gli chiedo.
“La palla se l’è mangiata!” – mi dice, fierissimo.
A 3 anni, mi sembra, fare un oggetto d’argilla è una priorità solo per gli adulti, mentre costruire diventa importante più avanti, ma anche questo processo può essere guidato da un adulto che si sostituisce allo studente oppure no.
Un maestro di una classe di Reykjavik (età 8-13 – elementari e medie sono un continuum in Islanda) dà questa consegna: costruire un trono con materiale da recuperare a scuola o fuori, legno o rami o altro. Gli attrezzi sono a disposizione nel laboratorio di falegnameria dove hanno scoperto in autonomia le istruzioni, inventandole e sperimentando.
Lì uno studente sceglie quante ore dedicare a ciascuna materia (un certo numero minimo è obbligatorio per tutti) per cui, oltre al trono, costruisce (crea!) anche il proprio percorso scolastico, la costruzione della conoscenza di sé; viene sostanzialmente tenuta al centro del focus didattico la vocazione della persona.
In Italia, mi sembra, dal lavoretto alla classe frontale, lo studente viaggia su corsie etero dirette, per quanto qui siano nate diverse alternative, per esempio Reggio Children, Munari o Maria Montessori il cui pensiero spesso è racchiuso nella frase “ti insegno a fare da solo”.
Certo, quando un bambino fa da solo, può accadere che faccia “male”, cose anche “brutte”, faccia scarabocchi o grovigli che tali rimangono se non cambia l’ottica con cui si osserva. Preferiremmo non averci troppo a che fare con ciò che si permette di essere “brutto”, fuori dal nostro controllo, diverso dal lavoretto col blu al posto giusto.
Un giorno trovo un nido fatto solo di alcuni fili sottili, come segni a matita, scarabocchi, grovigli, come me quando non riesco a districarmi, quando voglio assumere un ordine che in realtà non sono, ma essere nido e groviglio mi sembra una contraddizione troppo dolce per separarmene.
Io e dei bambini di 8 anni, osservando delle foto di nidi, abbiamo scoperto che è un’architettura complessa e loro hanno cercato, fra i frammenti un po’ abbandonati alla periferia del quotidiano, i fili con cui rappresentare i loro grovigli-nidi, la cui forma è emersa dall’ingobbio (colore per argilla) dato a secco con un setaccio su una base di argilla concava. Ho chiesto che cosa avrebbero voluto mettere al centro del loro nido: la foto dei nonni che non ho mai conosciuto, i miei genitori, il mio cane che è malato, un’amica della mamma che è morta l’anno scorso.
Immagine in evidenza: Chiara Casorati, Nido o groviglio. Rametti, argilla, igobbio rosso, 2022