Il Mandala. Viaggio dalla periferia al centro e ritorno

di Andrea Balzola

Mandala è un termine sanscrito che significa “cerchio” (che “circonda un centro”). Nella tradizione tantrica induista e nel buddhismo tibetano è un elemento fondamentale delle cerimonie rituali e delle pratiche di meditazione. È nello stesso tempo simbolo e strumento della trasformazione spirituale dell’individuo.1

Può essere disegnato, dipinto, realizzato con sabbie colorate, o tridimensionale, modellato o costruito. Di forma prevalentemente circolare, può essere anche quadrato. Ha un duplice significato, esteriore ed interiore. A livello esteriore è un  “cosmogramma”, cioè una rappresentazione simbolica dell’universo spazio-temporale e del suo processo di creazione; a livello interiore è uno “psicogramma”, cioè un’immagine mentale che guida l’essere verso il proprio centro, ricomponendo simbolicamente la pluralità frammentata della psiche in un’unità originaria. Jung ne parla come di uno strumento simbolico d’individuazione del centro di se stessi, di messa in ordine del caos interiore, partendo dalle periferie scomposte e sconnesse dell’Io. Il vero Mandala è comunque quello creato nella propria mente. Ma il Mandala non appartiene soltanto alla tradizione spirituale orientale, è un archetipo universale, ricorrente nelle rappresentazioni simboliche e cosmogoniche di tutte le civiltà, dal cristianesimo medievale (il labirinto sacro e il rosone delle cattedrali) e dall’alchimia occidentale (il cerchio con al centro l’androgino) agli indigeni americani e agli aborigeni australiani, dagli antichi egizi agli assiro-babilonesi, e ancora oggi si manifesta nei sogni individuali o nei disegni spontanei di soggetti appartenenti a culture diverse.2

Mandala di Kalachakra.

La spiegazione di questa universalità è probabilmente legata alle stesse caratteristiche della struttura mandalica: idealmente un Mandala si sviluppa da un punto centrale verso i quattro punti cardinali, simmetrici fra loro, mediante alcuni cerchi concentrici. Si possono così riconoscere forme mandaliche microscopiche in un cristallo di neve, nelle sezioni dei nervi o nelle molecole di metalli come l’oro, oppure forme mandaliche macroscopiche in certe galassie o nebulose. Nella tradizione yogica indiana il corpo umano stesso può essere concepito come un Mandala (con la visualizzazione dei chakra, dei canali psichici sottili e delle correnti interne di energia). Anche facendo un gesto semplice come gettare un sasso nell’acqua si crea un effimero “mandala”, o, con un procedimento assai più complesso e insieme casuale, i matematici pionieri dei frattali hanno fatto elaborare questi ultimi dal computer, rimanendo meravigliati dalle forme “mandaliche” generate dalla macchina. Nella tradizione buddhista tibetana, che ha elaborato la maggior varietà e complessità, i Mandala rappresentano una “dimora pura e sacra”, hanno forme e colori diversi, secondo il rituale o il tipo di meditazione. La loro raffigurazione ha comunque alcune costanti, innanzi tutto l’orientamento: durante la meditazione che visualizza mentalmente il Mandala, l’est, sempre concepito di fronte al meditante,  è rappresentato in basso, il sud a sinistra, l’ovest in alto e il nord a destra. Le porte sui lati del quadrato corrispondono ai quattro punti cardinali e ai quattro elementi che compongono ogni forma vivente: l’est è associato all’aria, il sud al fuoco, l’ovest alla terra, il nord all’acqua,  il centro allo spazio. Nel caso del Mandala di Kalachakra, gli stessi elementi, sotto forma di cerchi concentrici (rappresentati con fiamme, nuvole, petali di loto, etc.) circondano e proteggono un giardino circolare all’interno del quale è inscritto un perimetro quadrato di mura, anch’esso con quattro porte che corrispondono ai punti cardinali. All’interno delle mura un altro quadrato è diviso da due diagonali in quattro triangoli, ove possono essere raffigurati: la montagna sacra (il monte Meru, axis mundi); o un dorje (vajra in sanscrito), simbolo maschile del fulmine che distrugge le diverse forme di ignoranza e le emozioni negative;  o il Buddha (che si riferisce alla figura storica e simboleggia la condizione di risveglio e illuminazione spirituale), in una delle sue molteplici manifestazioni; o un ydam maschile o femminile (figura simbolica divinizzata che rappresenta una specifica qualità della mente), eventualmente in unione con un/una compagno/a. Il Mandala può essere realizzato con polveri colorate, in funzione di una precisa cerimonia (vedi il Kalachakra) al termine della quale viene dissolto e le sue polveri disperse in un fiume, a significare l’impermanenza degli esseri e di tutte le cose. Oppure può essere realizzato in forma tridimensionale e piramidale (il più grande mai realizzato, in pietra, è il celebre tempio Borobudur sull’isola di Giava). In questo caso il rituale prescrive la sua circoambulazione in senso orario e ascensionale. Percorrere un Mandala, con la mente e/o con il corpo, equivale metaforicamente a un viaggio dalla caotica e disgregata molteplicità delle periferie dell’essere a un centro dinamico, che integra le parti e si apre a una trasformazione evolutiva, dove non c’è più distinzione fra soggetto e oggetto, dentro e fuori, pieno e vuoto, uno e molteplice, centro e periferia: “la natura della mente è la gioia dello spazio”.

1Cfr. G.Tucci, Teoria e pratica del Mandala, Ubaldini, Roma 1969.

2Cfr. C.G.Jung, Psicologia e alchimia, Boringhieri, Torino 1981.

3Cfr il film documentario Kalachakra. La ruota del tempo, regia di Werner Herzog, 2003.

Immagine in evidenza: Mandala tridimensionale di Borobudur, Giava. Fotografia di Andrea Balzola.

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