Immanuel Kant e post-verità: manuale d’uso per l’internauta, tra realtà e fake news

di Francesco Dezani

Quando in filosofia ci si imbatte nella contrapposizione tra libertà e menzogna, il pensiero non può che volgersi immediatamente alla risposta che Immanuel Kant diede alla domanda “che cos’è l’Illuminismo?” (Kant 1784), ovvero l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Nell’ottica del filosofo, le illustri menzogne portate dalla tradizione ed imposte da autorevoli tutori sono causa dell’impossibilità di esercitare la propria libertà, consistente nell’utilizzo coraggioso della propria ragione.

Sapere aude!

Ci si interroga se questo motto, proferito da Kant in un periodo storico nel quale si iniziava faticosamente a smarcarsi dall’oscurantismo tradizionale, sia ancora valido in un’epoca, come la nostra, che ha visto la modernità spingersi fino ai suoi esiti (auto)distruttivi e, successivamente, una postmodernità che si è riconosciuta incapace, oltreché orgiasticamente compiaciuta di esserlo, di costruire ex novo sulle ceneri del moderno. Se tutte le verità oggettive sono state abbattute e il nichilismo e il relativismo dilagano imperanti, dunque, com’è possibile pensare altrimenti? In che modo è auspicabile fare un corretto utilizzo della propria ragione, se non vi è più alcun assioma tradizionale da sottoporre a critica e dal quale eventualmente prendere le distanze?

È in questo quadro, contraddistinto dall’assenza di verità oggettive e da valori assolutamente consolidati, che inizia a farsi largo la condizione di post-verità: nel richiamarsi ad un avvenimento o nella ricostruzione di uno stato di cose, le emozioni e le sensazioni dell’opinione pubblica sono messe in primo piano, a scapito della verità, relegata ad un ruolo ancillare, se non addirittura superfluo.

Se le fake news godono addirittura di maggior credito rispetto all’informazione autorevole(come potrebbero essere, ad esempio, le indicazioni dell’OMS in materia di salute), i minori del nostro tempo, intesi come coloro che mantengono una certa “incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro”, corrispondono a chi, più degli altri, cede al fascino di queste nuove verità artefatte. Lungi dal fornire legittimazione ai sedicenti ribelli del pensiero unico e alle loro prese di posizione contro le verità scientifiche (come potrebbe sembrare ad una lettura disattenta del saggio kantiano), il filosofo di Königsberg fa rientrare anch’essi sotto la sua impietosa definizione di minorità. Infatti, non vi è davvero nulla di audace nel respingere una teoria per abbracciarne un’altra, a meno che questo passaggio non sia giustificato dall’impiego (coraggioso) della ragione. Al contrario, chi al giorno d’oggi accoglie acriticamente una bufala è guidato da pigrizia e viltà, al pari delle masse incolte del XVIII secolo, soggiogate intellettualmente dai detentori del sapere (Kant si riferiva in particolar modo alle varie Chiese).

Definiti i tratti della nuova minorità, non resta che chiarire i termini della nuova maggiore età e se nel postmoderno sia davvero possibile essere maggiorenni in senso kantiano, ovvero: com’è possibile, al giorno d’oggi, fare un utilizzo corretto del proprio intelletto?

La contemporaneità è contraddistinta da una sempre maggior centralità del Web e, negli ultimi anni, i social media hanno giocato un ruolo chiave nella proliferazione e nella diffusione di fake news. Lo “shock informazionale” al quale è quotidianamente sottoposto l’internauta ha provocato un clima di sospetto generalizzato rivolto a qualsiasi tipo di informazione, a prescindere dalla presunta attendibilità della stessa. In questo stato di sfiducia riguardante la verità da acquisire in rete, si apre tuttavia uno spiraglio per esercitare la libertà, nel momento in cui si fa uso di ciò che

Umberto Eco chiamava “cultura enciclopedica”: non la conoscenza assoluta di tutto ciò che accade nel mondo, bensì la capacità di sapere dove andare a reperire le informazioni, distinguendo quelle attendibili da quelle inattendibili.

L’abitante del postmoderno, dunque, al pari di quello del XVIII secolo, può scegliere sia di farsi guidare dalla pigrizia o dalla viltà, abbracciando acriticamente qualsiasi teoria abbia modo di scorgere in quella Biblioteca di Babele che è la rete; oppure può compiere un esercizio di libertà e, attraverso la propria cultura enciclopedica, servirsi coraggiosamente del proprio intelletto per vagliare criticamente la qualità delle informazioni. Ora come allora, nonostante le derive relativistiche della post-verità, la contrapposizione tra libertà è menzogna risulta più che mai valida.

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