L’opera di Puccini: la libertà di mentire a se stessi

di Roberta Terchi Nocentini

Giacomo Puccini è uno dei compositori più amati a livello mondiale, con le sue melodie ancora riesce a commuovere chiunque ascolti una delle sue opere. Persino noi, generazione in balia di una pandemia che sembra renderci giorno dopo giorno più cinici e aridi. Per anni, come musicista ma soprattutto come persona, mi sono chiesta perché, più di ogni altro, il compositore toscano riscuotesse tanto successo tra il pubblico di ogni nazionalità. La risposta era talmente ovvia che non riuscivo a vederla: ogni singolo spettatore nel teatro, immerso nell’opera del musicista lucchese, può rivedere se stesso nei suoi personaggi. Questo perché Puccini ha sempre cercato la “verità umana” in essi, prendendosi tutta quella libertà che solo il teatro, luogo di menzogna in cui il finto diventa realtà, sa offrire. Delle cosiddette maschere Puccini se ne faceva poco. Egli voleva arrivare a ognuno, trasmettendo l’anima di ogni protagonista, non il pensiero politico o l’ideale. Per questo potremmo dire che le sue opere sono sempre attuali.
Vi starete chiedendo: «Ma come è possibile? Cos’ha Turandot di attuale e vero? E Madame Butterfly o un’opera come Tosca, ambientate in un preciso periodo storico?». Il realismo di questi “esseri umani in scena” sta proprio nella menzogna intrinseca in ognuno di loro, la stessa che viviamo quotidianamente noi stessi. Si pensi alle scuse trovate per rinviare una scadenza lavorativa, ai tradimenti di amicizie o, ancor peggio, alle bugie di coppia per nascondere relazioni extraconiugali che spesso celano un malessere profondo (vedi Giorgetta e Michele ne Il Tabarro). Nel ventaglio dei realistici personaggi che Puccini ci ha donato, abbiamo Rodolfo (in La bohème), che si dichiara poeta pur essendo consapevole di non essere in grado di guadagnare un soldo con la sua arte; Tosca che, diva qual è, non riesce a gestire una gelosia tale da portare alla morte del suo amato Cavaradossi. E ancora, Pinkerton (in Madame Butterfly) e la sua superficialità, la sofferenza di Suor Angelica (in Suor Angelica), vittima di un’ipocrisia che ancora nel 2021 è presente nella nostra società. Senza dubbio ogni opera del “Doge” – così come era solito chiamarlo l’editore Giulio Ricordi – ancora oggi ci fa riflettere su quanto abbiamo da imparare dalla nostra personale esperienza umana e da quella altrui. In fondo, come negare che lo stesso Giacomo Puccini descriveva se stesso nelle sue opere! Egli è stato Luigi (de Il Tabarro) quando ha conosciuto una sposata Elvira e ne è divenuto l’amante, per poi sposarla in seconde nozze; è stato quel Pinkerton che prometteva alle innumerevoli amanti e non manteneva la parola data. È stato persino detto che Turandot altri non è che una versione femminile del musicista. Come lei decapitava i suoi pretendenti, così Puccini troncava le sue relazioni extraconiugali, tornando sempre da sua moglie Elvira. Ma, soprattutto, tornando sempre dal suo vero amore, quello che gli permetteva di sentirsi libero di esprimere se stesso: la musica.

A lei non mentiva mai.

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2 commenti

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