L’attualità della memoria armena

Testo e immagini di Robert Tsarukian

Nell’attuale conflitto tra Azerbaigian e Armenia,
riemerge la memoria del genocidio turco-tedesco degli armeni, che fu la prova generale del genocidio nazista degli ebrei.
Le donne armene private della loro cultura e della loro dignità.

Un po’ di storia


Possiamo non sapere dove si trovano l’Armenia o l’Azerbaigian, ma l’Italia, come gran parte dell’Europa, si approvvigiona di petrolio dall’Azerbaigian, di cui è il primo partner commerciale. Sentiamo così spesso parlare dei conflitti tra i paesi ,che le notizie dei media invece di catturare la nostra attenzione ci rendono purtroppo sempre più indifferenti. Un esempio recente è l’attuale conflitto tra Azerbaigian e Armenia , che ha origini lontane. Il punto di partenza fu la decisione di Stalin, durante il regime sovietico degli anni Venti del Novecento, di fare della regione del Nagorno Karabakh una regione autonoma dell’Azerbaigian filo-turco. L’attuale conflitto iniziò nel 1988, in concomitanza con la dissoluzione dell’Unione sovietica, quando gli armeni del Karabakh chiesero che il loro territorio fosse trasferito dall’Azerbaigian e ricongiunto all’Armenia . Il conflitto si è poi trasformato in una guerra, combattuta tra il 1990 e il 1994.
Il Nagorno Karabakh è un territorio autonomo conteso, riconosciuto a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian, ma con una maggioranza etnica armena. Governato dalla Repubblica di Artsakh (che si chiama così dal 2017, ma ai tempi sovietici era la regione autonoma Nagorno Karabakh della Repubblica Sovietica dell’Azerbaigian), si tratta di una regione montuosa senza sbocco sul mare situata nel Caucaso meridionale. Le potenze confinanti dell’Armenia sono la Turchia, l’Iran e la Georgia. Quelle confinanti con l’Azerbaigian sono la Russia e ancora l’Iran e la Georgia.
La situazione nella zona contesa era rimasta stabile per quasi trent’anni, dopo che una vittoria militare aveva permesso all’Armenia di assumere il controllo del Nagorno Karabakh. Sette distretti circostanti del Nagorno Karabakh, sono di fatto controllati dall’auto-dichiarata Repubblica di Artsakh, ma sono internazionalmente riconosciuti come parte dell’Azerbaigian. Sia l’Azerbaigian che l’Armenia sono impegnate a rivendicare la sovranità sull’area. Ad oggi nessuno Stato al mondo, nemmeno l’Armenia, riconosce la Repubblica di Artsakh. Il 27 settembre 2020, lungo la linea di confine del Nagorno Karabakh sono ripresi gli scontri in una guerra tecnologicamente avanzata. Entrambe le forze armate dell’Azerbaigian e dell’Armenia hanno riportato vittime civili e militari. Quando l’Armenia ha accusato la Turchia di aver abbattuto un suo jet militare con un F-16 proveniente da territorio azero, Recep Tayyip Erdoğan ha smentito. Il conflitto tra Azerbaigian e Armenia ha coinvolto altre potenze con interessi nel Caucaso. In particolare Russia e Turchia: Mosca dalla parte di Erevan; Ankara invece, che non ha relazioni con l’Armenia per via del nodo irrisolto del genocidio armeno, dalla parte dell’Azerbaigian. Non a caso entrambi i Paesi sono intervenuti.

Benché la Turchia mantenga con l’Azerbaigian un rapporto storico, che ha radici nell’appartenenza di entrambi i popoli all’etnia turca ed è eloquentemente espresso nel motto turco “una nazione in due Stati”, è la Russia che, per evidenti ragioni storico-politiche legate al passato sovietico di entrambi i Paesi, ha sempre giocato il ruolo di regista tra Armenia e Azerbaigian. L’inizio degli scontri è stato preceduto da una vasta esercitazione militare congiunta delle forze turche e azere e seguito dalla promessa del Presidente Erdogan di rimanere al fianco degli amici e fratelli dell’Azerbaigian nel conflitto.
La Russia ha già un accordo di difesa con l’Armenia, è stato soprattutto l’impero Russo a proteggere gli armeni durante il genocidio attuato dai turchi tra il 1915 e il 1916. Il genocidio vero e proprio fu scatenato nel 1915 perpetrato dal governo dei ‘Giovani Turchi’ dell’Impero Ottomano, che causarono circa 1,5 milioni di morti. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada. Il tedesco Friedrich Bronsart von Schellendorf, Maggiore Generale dell’Impero ottomano, nell’ottica degli stretti rapporti con l’Impero tedesco, viene dipinto come “l’iniziatore del regime delle deportazioni armene”. Nelle marce della morte, che coinvolsero 1.200.000 persone, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento. Queste marce furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco in collegamento con l’esercito turco, secondo le alleanze tra Germania e Impero ottomano e si possono considerare come “prova generale” delle più note marce della morte perpetrate dai nazisti ai danni dei deportati nei lager durante la Seconda guerra mondiale. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall’esercito turco. Da ritrovamenti di documenti oggi sappiamo con certezza che la tragedia degli armeni fu presa a modello dai nazisti per l’organizzazione della Shoah. Nonostante tutte le testimonianze e le documentazioni storiche, il genocidio degli armeni viene negato ancora oggi dal governo turco che presenta quella tragica vicenda come un intervento dell’esercito ottomano per impedire agli armeni di unirsi all’esercito russo, ricollocandoli in Siria, in un momento in cui l’armata russa e battaglioni armeni stavano avanzando in Turchia. Fonti ufficiali turche hanno affermato che la stessa “tolleranza del popolo turco” rende impossibile parlare di “genocidio armeno”.
Sembra che oggi si stia rivivendo quanto era accaduto tra il 1915 e 1916, con la contrapposizione tra la Russia, protettrice dell’Armenia, e la Turchia, protettrice dell’Azerbaigian a cui fornisce uomini e armi. La situazione attuale ha spinto un esperto a dichiarare che siamo davanti a un vecchio conflitto in un nuovo contesto geopolitico. Dopo 44 giorni di aspri combattimenti tra l’Armenia e l’Azerbaigian, la sera del 9 novembre 2020 i rappresentanti dell’Armenia e dell’Azerbaigian, grazie alla mediazione del presidente russo Vladimir Putin, hanno firmato un cessate il fuoco per consentire lo scambio di prigionieri e dei caduti, ma la contesa è tutt’altro che risolta e può riaccendersi da un momento all’altro.

Donne tatuate e islamizzate

Dopo il genocidio armeno nel 1916, alcune delle persone rapite e integrate nella vita della famiglia musulmana nel tempo hanno dimenticato la loro etnia armena e hanno persino perso la capacità di parlare la loro lingua madre. Al fine di salvare le proprie vite e quelle dei propri cari, molte donne armene si convertirono forzatamente all’Islam. Alla fine si sposarono con uomini musulmani e, secondo le usanze tribali locali, furono contrassegnate con tatuaggi rituali. Secondo le credenze tradizionali, questi tatuaggi fornivano protezione, forza o fertilità ed erano spesso formati da punti o da una piccola “x”. Le donne armene rese schiave dai turchi venivano tatuate dai loro “proprietari”, così come si fa col bestiame. Questi nuovi segni rappresentavano una nuova appartenenza e un radicale cambiamento nella loro vita. Tante donne armene erano ridotte in schiavitù o prostituite ed erano tatuate per facilitare la loro identificazione. I tatuaggi venivano usati da più gruppi etnici nelle zone rurali dell’Impero ottomano, in particolare curdi e arabi. Quando finì la prima guerra mondiale, alcune donne armene furono in grado di riunirsi alle loro comunità originarie e cercarono di nascondere con il trucco o di rimuovere questi tatuaggi che restavano sulla loro pelle come un simbolo di oppressione, come una memoria permanente della loro penosa vita durante il genocidio e la persecuzione.

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