Libertà è risiedere in uno stato di intensa attenzione

di Devidattaji

La polarità menzogna-libertà, o il movimento dall’una verso l’altra, trovano “riposo” in una tradizione, come quella del cosiddetto Shivaismo del Kashmir, che percepisce la realtà attraverso l’esperienza della non dualità. La libertà non è uno stato che si cerca, che si può raggiungere, ma è ciò che già sono, solo che non la “vedo”. Ciò che ricerco, così come il raggiungimento ultimo, coincidono in realtà con il punto di partenza. Letteralmente, organicamente. Nella realizzazione che, come dice lo Svacchandra Tantra, tutte le categorie dell’esistenza sono presenti in ogni singola categoria.

Lo Shivaismo del Kashmir è una tradizione i cui lignaggi riconoscono i Tantra Shivaiti (Agama) come autorità scritturali. Parampara, la successione dei maestri in un lignaggio di trasmissione diretta è nello yoga fondamentale. Nella tradizione Shivaita non duale i nomi dei grandi maestri, Somananda, Utpaladeva, Abhinavagupta, fino all’ultimo maestro realizzato della tradizione, Swami Lakshman Joo, sono riconosciuti come una delle massime espressioni dell’elaborazione yoghica cui l’India abbia dato forma. (Inciso: il Kashmir, da noi conosciuto un tempo come paradiso sulla terra, continua a gridare, da lontano, strappato dall’eterna guerra tra poveri, dalla violenta manipolazione religiosa e politica, verità eterne).

In questo yoga non duale la dualità è percepita come menzogna prodotta dalla mente razionale. La fallace identificazione con “io” e “mio” è percepita nei Tantra come schiavitù, mentre la liberazione è una verace identificazione con il corpo cosmico. Ma come avviene questa espansione di coscienza? Attraverso l’intensa esperienza della realtà, non cercando di trascenderla. L’intensità, così come la meraviglia (camatkara) a cui l’intensità apre il cielo infinito dell’esperienza della libertà, sono pratiche fondamentali dello Shivaismo tantrico. Pratyaksha, o percezione prima, è esperienza di aderenza, (nella comprensione di essere aderente in quanto presente) nel primo istante delle percezioni, prima che l’intervento mentale le limiti con nome e forma. Questa nuova esperienza dell’aderenza viene sperimentata con un’attenzione tanto intensa da richiedere allo yogin un vigore fuori dal comune (vigore che lo yogin acquisisce con le tecniche dello yoga, asana, pranayama, meditazione), e questa intensità si dispiega (realizzazione che avviene senza più sforzo individuale) in uno stato di vuoto, in cui prevale il funzionamento della mente creativa, o intuitiva, la mente libera dei santi e degli artisti.

Questo vuoto è percepito, a differenza di altre tradizioni, molto pieno. Pieno di una consapevolezza continuamente rinfrescata (anusandhana), che è meraviglia di ogni singolo istante, ed è Conoscenza. Necessita qui fermarsi un momento per comprendere profondamente cosa vuol dire consapevolezza continuamente rinfrescata. Continuamente è la chiave di questa realizzazione. Satatam, in sanscrito, avverbio di modo, vuol dire presenza in ogni fugacissimo mutamento successivo del mondo fenomenico; i mutamenti sono così veloci che la mente semplicemente li percepisce come successivi, dando l’impressione illusoria del fluire. L’intervallo di tempo corrispondente a ciascuno di questi stati successivi è detto ksana, la più piccola unità di tempo percepibile, tale da non poter essere ulteriormente suddivisa. Ed è, questa presenza, continuamente rinfrescata: non esiste cioè un istante uguale ad un altro, ma ogni istante è unico ed originale, non ci sono momenti più importanti di altri, ogni momento è vita, piena, luminosa. La vita diviene scelta, non più attesa.

 Questo richiede uno sforzo intensissimo, apparentemente innaturale, che spinge i più ad abdicare dalla condizione regale dello yoga e lasciarsi scivolare la vita addosso, in uno stato che appare allo yogin di sonno profondo, uno stato precomatoso, o di morte apparente. Nel quinto libro del Mahabharata, precursore dottrinale della Bhagavadgita, la morte è percepita come negligenza, noncuranza, pramadha, un sommo grado di condizione alterata della coscienza. La negligenza è la caduta dell’individuo dalla sua intrinseca condizione di Unità in uno stato in cui si percepisce invece come separato.  Il karma yoga nella prospettiva Shivaita è quindi non tanto, o non solo, lo yoga dell’azione disinteressata, ma una condizione di puro yoga in azione, in ogni azione, in ogni istante di ogni azione. La pratica yoghica può iniziare con la realizzazione di questo tipo di presenza a livello corporeo, nell’esperienza del vuoto che si libera quando rimango profondamente attento alle percezioni. Il vuoto diviene esperienza della libertà dalla partecipazione psicologica alla pratica (facile-difficile, mi piace-non mi piace, ci riesco-non ci riesco). Quando la vacuità corporea affiora come esperienza dominante, in un muscolo, nella vibrante estensione sempre viva di un asana, nello spazio di silenzio interiore che si sviluppa del corso di una pratica, allo stesso modo posso percepirla quando un piede poggia a terra mentre cammino, quando vedo, odo, gusto ogni oggetto in un’esperienza libera dall’intervento del pensiero. Puro sentire, puro vedere, libero da anticipazioni, giudizi, memorie….

In questo vuoto che è pieno della “libertà suprema del Grande Signore”, che è assieme lucentezza e coscienza, beatitudine della presenza di Shiva, lo yogin percepisce la realtà ovunque, come un’unità indivisa. Come si dice nel Paramarthasara, uno dei tantra introduttivi alla tradizione Trika:

“Come la lolla avvolge il chicco di riso, così la creazione avvolge la coscienza con il corpo”.

 Se l’oscurità dell’ignoranza, che qui possiamo percepire come menzogna, strascina il Sé a concepire la sua natura essenziale come diversità caleidoscopica di oggetti e soggetti, la verità, la libertà, sono la realizzazione che tale differenza non è mai esistita. L’uno è moltitudine, così come la moltitudine è uno. Tutto inizia nell’esercizio dello sforzo intenso di rimanere in ciò che è, in ogni istante, nella pratica della richiedente presenza della profondità delle cose, che vuole cura, dedizione, studio, sacrificio, che vengono riempiti di espansione, apertura, ascolto, gioia completamente libera. Il nemico, sempre in agguato, è la superficialità, la superficialità delle relazioni, del linguaggio, della fruizione estetica, della partecipazione alla vita della società, lo sdoganamento dell’improvvisarsi, politico o ristoratore, dell’insegnare senza empatia, dell’anticipare il compenso alla qualità…

 La realtà è manifesta, dice il Paramarthasara nella karika 26, nel grado in cui la libertà della coscienza la rivela. E questa gustazione è dolcissima:

“Allo stesso modo in cui il succo, la schiuma scremata, lo zucchero granuloso e quello non raffinato, il caramello, ecc. sono in essenza null’altro che zucchero di canna, così tutte le forme sono solo stati diversi del Supremo Sé, Shambhu”.

Per info su satatam yoga: satatamyoga@gmail.com

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