Vero, reale, Virtuale.

Il concetto di maschera applicato alle arti del XXI secolo

di Lino Strangis

Come è noto, Picasso ha dichiarato che “l’arte è la menzogna che ci fa conoscere la verità”. Nel cercare di interpretare le molte stratificazioni di senso di questa affermazione, potremmo trovare importanti indicazioni riguardo ciò di cui tutte le culture si preoccupano di ricercare: un logos entro il quale costruire una qualche comprensione delle cose del mondo.

Si potrebbe trovare una chiave di lettura nell’intendere l’arte come una maschera nel senso più profondo del termine. Apparentemente la maschera mente, in quanto nasconde o muta l’identità della persona che la indossa. Ma una cosa è la maschera del manigoldo che fa una rapina e tutt’altra è invece la maschera rituale di molte antiche culture. Non è un volo troppo pindarico se pensiamo ad esempio alla grande influenza che le arti e le culture africane, cosiddette primitive, ebbero sul cubismo e quindi su tutte le avanguardie artistiche europee. Presso le antiche tribù ma anche nella tragedia greca, la maschera aveva ben altra funzione e cioè non già quella di mentire o nascondere, ma quella di segnalare che qualcosa di “speciale” e differente stava accadendo, che in quel momento chi parlava, cantava e/o danzava non era più una persona, ma un corpo condiviso con l’oltre. Si tratta qui di qualcosa che nell’apparire sospende la quotidianità per mostrarci ciò che non riusciamo a cogliere nella vita di tutti i giorni. (Falossi, Mastropasqua 2014 e 2015) Ma perché l’arte (e in particolar modo quella che definiamo arte contemporanea) nell’essere menzogna per dire la verità, agisce come questo tipo di maschera? Perché non mostra le cose così come appaiono normalmente ai nostri occhi ma differenti, alterate, eppure proprio in quell’alterazione si cela la prima grande operazione linguistica e di senso che questa arte mette in gioco.

Per trattare di arti e tecnologie nel ventunesimo secolo non si può non partire da quello che significa arte da una manciata di decenni a questa parte, dato che appare incontestabile che quanto fondato dalla fine dell’Ottocento in campo artistico (e non solo) sia un processo culturale tanto ampio da non essersi di certo esaurito in poco più di un secolo, anzi. In particolar modo quanto affermato può applicarsi alla comprensione delle arti odierne che fanno uso delle tecnologie multimediali digitali (dal video alla realtà virtuale).

Le tecniche multimediali digitali per l’arte hanno aperto ad una serie di innovazioni tecniche e quindi (naturalmente) anche linguistiche a dir poco sbalorditive, ma da questo enorme orizzonte di possibilità emerge un ancor piccolo numero di produzioni che possano intendersi come opere d’arte con tutti gli attributi che ciò che definiamo in questo modo deve avere.

Le opere d’Avanguardia denunciano immediatamente, il loro non essere una fedele rappresentazione del cosiddetto reale ma ben altro: nel figurare in modo cosiddetto non realistico e stilizzato gli artisti in questione facevano a tutte le cose quello che la maschera faceva alle persone e segnalava che quelle che appaiono (ad esempio) nei quadri non sono le cose di tutti i giorni, ma evocano tutto l’altro e l’invisibile che c’è in quelle cose. In questo senso si può comprendere perché questa menzogna dice la verità!

Ma cosa è vero e cosa è reale? E come tutto questo ha a che vedere con il concetto di maschera? Se consideriamo che il primo significato di questa parola è ciò che riguarda il Re, comprendiamo come ciò che si definisce reale è ben lontano da ciò che è vero in quanto il vero è qualcosa che va oltre e risiede al di là di ciò che un re può possedere. 

Ma cos’è allora, ad esempio, una notizia vera nel mondo sempre più “televisivo”, dove cioè anche se la tv non ha più lo strapotere di qualche anno fa, l’effetto tipicamente televisivo (nel senso di vedere da lontano) si è ulteriormente incrementato (ancor più post-covid)?

Sappiamo come le immagini si possano manipolare (o sintetizzare) e anche che a noi ogni sedicente resoconto giunge attraversando una serie di passaggi nel corso dei quali la verità dei fatti (ammesso che sia facile individuarla anche con le migliori intenzioni) può essere distorta e veicolata (se non costruita a tavolino). I fatti si fanno fattoidi (Dorfles 2009) in modo che rientrino nei limiti della narrazione riguardo il reale. La realtà quindi non è certo tutto ciò che esiste, ma solo ciò che in quanto censito, riconosciuto e “acquisito” dall’autorità reale ha “permesso di soggiorno” nel reame.

Se quindi l’arte mostra una menzogna che ci fa conoscere la verità è lecito supporre che ciò che arte non è, possa assumere la forma e il comportamento di qualcosa che mostra la realtà (fingendo che sia la verità) per confonderci con la menzogna! Se volgiamo lo sguardo alle tecnologie audiovisive e all’uso che ne fanno la tv ed i mass media (il web non è escluso) questa contrapposizione emerge concreta e rievoca uno dei motti inaugurali della videoarte che declamava orgogliosamente VT IS NOT TV.

I media mainstream in linea di massima si occupano di definire quotidianamente la dimensione illusoria che definiamo reale ed in questi processi, prodotti come i reality, ma anche i telegiornali, evidenziano questo tipo di comportamento. Si applica quello che definisco effetto reale per far credere che ciò che “il re” (la ratio vigente) “immatricola” come reale sia effettivamente tutto ciò che esiste, ed è certo che una immagine del mondo (Heidegger 1936) che rispecchi le nostre abituali modalità di visione risulti più familiare e subdolamente convincente (pur mentendo). È risaputo che i nostri sensi colgono una minima parte dell’esistente, eppure un radicato narcisismo antropocentrico ci porta spesso a preferire l’esser quotidianamente gabbati che non ad accettare che quel che vediamo non è ciò che le cose sono. Se le maschere antiche erano spesso appariscenti e non di rado mostruose mentre dietro c’era una normale persona, l’effetto reale (procedimento artificiale che però si presenta come reale o realistico) è una maschera di normalità sul viso di un mostro.

Se gran parte dei media mainstream hanno operato questa pericolosa inversione dell’uso che l’umanità può fare del potere delle maschere (intese nel senso ampio di filtro sull’esistente) emerge come “compito” dell’arte agire in modo opposto, cercando quindi di recuperarne il senso originario e allo stesso tempo rinnovarne l’essenza con i nuovi linguaggi disponibili.

Le attuali tecnologie di realtà virtuale, le quali si basano su oggetti di sintesi in 3D che raggiungono un grado di realismo impressionante (tale da essere sempre più facilmente confuse con “cose vere” videoregistrate) aumentano enormemente il pericolo di manipolazioni fraudolente di ciò che effettivamente esiste o di ciò che accade al mondo. Ma il modo d’uso fa la differenza. 

Io opero per rilanciare la “tradizione originaria” ed innovativa delle avanguardie, scegliendo per le mie opere “futuristiche” e tecnologiche una maschera antica e “primitiva” (anche se lavoro con alcune delle più sofisticate macchine di visione attualmente esistenti) e questo è quanto cerco di trasmettere anche ai miei studenti. Per le mie opere il termine che indica la tecnologia usata per realizzarle (cioè realtà virtuale) risulta grammaticalmente inadeguato dato che ritengo sia più corretto definirle virtualità irreali visitabili come luoghi veri, esistenti e di cui si può fare esperienza al di là dei confini di ciò che il pensiero dominante definisce reale.

La cosiddetta realtà virtuale (e filiazioni come la mista e l’aumentata) sono tecnologie entrate solo di recente tra gli strumenti dell’arte e sembra quasi naturale che un certo grado di consapevolezza riguardo un uso definibile come artistico (che si distingua anche, ad esempio, da usi più semplicemente creativi) sia ancora poco diffuso. Per queste ragioni c’è bisogno che le questioni velocemente accennate siano poste in futuro in modo sempre più serio e scientifico (nel senso delle scienze umane in epoca di post-umanesimo).   

Bibliografia:

Focus N.60, p 165

–  F. Falossi, F. Mastropasqua, L’incanto della maschera, Prinp editoria d’arte 2.0, 2014 

– F. Falossi, F. Mastropasqua, La poesia della maschera. Una testa vuota come fonte di conoscenza, Prinp editoria d’arte 2.0, 2015 

– Gillo Dorfles, Fatti e fattoidi. Gli pseudoeventi nell’arte e nella società, Castelvecchi, 2009

– Simonetta Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte fra politica e comunicazione, Costa&Nolan, 2005

– Martin Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo in Sentieri interrotti (traduzione P.Chiodi), La nuova Italia, 1997

–  J. Derrida, La disseminazione, Jaca Book, 1989

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