Il suono del silenzio, tra John Cage e Thich Nhat Hanh

di Cristina Meli

Nel 1952 il musicista sperimentale John Cage crea 4’33’’, una composizione in tre movimenti, al tempo unica nel suo genere. Noi oggi possiamo fruire la performance attraverso l’esecuzione del pianista William (Bill) Marx in una documentazione video filmata al The McCallum Theatre, a Palm Desert, in California. Il musicista veste in frac e si siede elegante davanti al pianoforte, con aria solenne sistema gli spartiti, poi indossa gli occhiali da vista e, contrariamente a ciò che il pubblico si aspetta, gli unici suoni che riecheggiano sono quelli del coperchio della tastiera dello Steinway & Sons che si chiude, e l’avvio di un timer.  Il pianista quasi immobile mantiene il silenzio fino alla fine dei 4’33’’, chiude lo spartito, si leva gli occhiali e si alza per ringraziare il pubblico che nello stesso istante applaude rompendo il silenzio. Pare però che durante la prima esecuzione, presentata dallo stesso Cage, le reazioni del pubblico non siano state altrettanto favorevoli, in un contesto solenne come le sale da concerto per musica classica la sua performance fu accolta come una provocazione e duramente contestata. Cage ha anche inciso su disco 4’33”, considerandola come la sua “opera più importante”. Il silenzio dei suoni della tastiera è un invito all’ascolto di tutti i suoni e i rumori (ma Cage non ama distinguere gli uni dagli altri) dell’ambiente circostante, anche quelli che solitamente ci sfuggono, anche i pensieri che affollano sempre le nostre menti come un rumore permanente. E’ proprio di questo che il monaco buddista Thich Nhat Hanh, candidato nel 1967 al Premio Nobel per la pace da Martin Luther King, scrive in uno dei suoi numerosi libri dal titolo Il dono del silenzio. Ci propone una riflessione importante sul silenzio: “spesso descritto come l’assenza di suono, eppure è anche un suono molto potente”. Se solo facessimo tacere i nostri pensieri, se solo smettessimo di fare rumore e iniziassimo ad ascoltare, potremmo ascoltare il vero silenzio. Infatti nella dottrina buddista esistono 5 veri suoni, capaci di sanare il mondo: il primo suono è quello della vita, come il suono degli uccelli o della pioggia; il secondo è il Suono del silenzio di colui che semplicemente ascolta; il terzo è il trascendentale Om, suono da cui è nato e di cui è permeato l’intero cosmo, secondo la cosmogonia induista e buddhista, e che ha il potere di cambiare il mondo; il quarto è il Suono della Marea che Sale, simbolo della voce del Buddha, che può trasformare ogni cosa; infine il Suono che Trascende Tutti i Suoni del Mondo, quello dell’impermanenza, che ci ricorda come ogni cosa è  in continua evoluzione e trasformazione.

Eppure il silenzio è una condizione così estranea nelle nostre vite contemporanee, turbolente e trafficate, siamo abituati a vivere in un “flusso costante di rumore e informazioni”. Riceviamo continuamente messaggi e chiamate, abbiamo incessanti impegni e difficilmente riusciamo a trovare un attimo di quiete. E spesso, quando si creano rari momenti di silenzio, in compagnia o in solitudine, molti lo vivono con imbarazzo e ansia cercando immediatamente di riempirlo. Thich Nhat Hanh afferma che “il silenzio è essenziale. Abbiamo bisogno di silenzio tanto quanto abbiamo bisogno di aria, tanto quanto le piante hanno bisogno di luce”, ed è proprio quando fermiamo ogni pensiero e distrazione, che possiamo realmente giungere verso la consapevolezza che ci rende vivi, senza rimandi al passato, o preoccupazioni per il futuro, senza aspettare che accada qualcosa, ma semplicemente vivere il presente, perché è qui che inizia la vita e tutto diventa più reale.  Spesso evitiamo il silenzio così da sfuggire al dolore, quando in realtà è proprio la quiete che ci permette di acquisire la consapevolezza necessaria per sanare il nostro travaglio. Secondo il monaco buddista imparare a riconoscere la sofferenza, abbracciarla e trasformarla è un’arte. 

Bibliografia:

John Cage, Silenzio; Feltrinelli, Milano 1971.

Thich Nhat Hanh, Il dono del silenzio, Garzanti, Milano 2015.

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