di Chiara Casorati
Fotografie di Lucija Hrvat

Un giorno porto mio figlio al parco e incontriamo un gruppo di persone con un cagnolino, mio figlio si ferma ad accarezzarlo e io scambio due parole. Tempo dopo, nel dormiveglia, ripenso a quel momento e mi accorgo che, nelle immagini presenti alla mia mente, vedo distintamente i sorrisi, i denti, le labbra, le pieghe della pelle sulle guance e mi accorgo che questo è impossibile perché era l’inverno del 2021, Milano era zona rossa ed avevamo tutti la mascherina. La mia mente ha completato le informazioni mancanti e da alcuni dettagli – gli occhi, gli zigomi – ha ricostruito la figura completa.
In letteratura la figura retorica che esprime la parte per il tutto è la metonimia: per esempio dire “vela” anziché “barca”. Per esempio posare in uno spazio scenico degli oggetti e delle scarpe anziché degli attori veri e propri. È quello che accadde diversi anni fa (ero un’ attrice) ad un laboratorio a cui partecipai, condotto da Matteo Lanfranchi (Effetto Larsen). Gli attori in realtà c’erano, ma, in silenzio, entravano in scena solo per modificare la posizione degli oggetti e permettere al pubblico di decodificare gli elementi narrativi e ri-costruire la trama. Ciascun osservatore completava a suo modo la performance, immaginando anche la voce dei personaggi, che non era udibile se non nel proprio immaginario.
Le scarpe sono state sempre una sorta di contenitore di frammenti mancanti per me e in quanto tali interessanti. Ne ho indossate molte, da attrice: in uno spettacolo si vedevano solo i miei piedi e, cambiando scarpa, cambiavo personaggio (Quando si racconta è niente, regia Enya Idda). Molti sono i frammenti mancanti di me e ogni scarpa, modellando anche il modo con cui tutto il corpo ci stava dentro, mi consegnava informazioni. Ne ho riprodotte moltissime con l’argilla, grandi come quelle delle barbie, ma ruvide e pietrose: usai di proposito la terra di Castellamonte, materiale in contrasto con la plastica perfetta e liscia. Ne venivano fuori scarpette-corpo come se tutto il peso dello scheletro fosse già nella scarpa (o almeno così sentivo io).
Costruii con argilla bianca spazi neutri dove guardarle, oppure accenni di mobilia, sempre metonimici: non vela per barca, ma tovaglia per cena. Infine il luogo più intimo e prosaico: il gabinetto, l’attrice in pausa. È così che è nato il progetto a quattro mani con la fotografa Lucija Hrvat: Feelings creep up on you, in cui abbiamo tessuto le carte di una trama fotografica. Gli attori continuano a non esserci, la voce è inudibile, ma nella mia mente i personaggi che indossano quelle scarpe hanno un respiro preciso ad ogni scatto, forse anche delle pieghe sulle guance mentre sorridono.

Chiara Casorati, Attrice in pausa, argilla bianca refrattaria, argilla di Castellamonte, engobbio rosso.

Tre foto dal progetto

Feelings creep up on you

Fotografie di Lucija Hrvat, Opere di Chiara Casorati.

Il progetto completo a questo link: http://chiaracasorati.it/ wp/feelings-creep-up-on-you/

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