di Ezio Albrile

Nulla v’è più di artificiale d’una visione, specialmente per chi crede nella “verità” del reale. Gustave Flaubert (1821-1880), artefice di quel Madame Bovary (1856) che tanto scompenso suscitò nei cuori delle gentili signore della buona borghesia francese, attese tutta la vita ad un’opera di stile totalmente dissonante, La Tentation de saint Antoine (1874). L’argomento erano le seduzioni estatiche provate dal padre del monachesimo, l’abate Antonio (251-356), nella segregazione del deserto egiziano. Tra le molteplici provocazioni visionarie subite dall’eremita di Tebe, v’era quella d’una sgargiante Regina di Saba, abbigliata d’una veste in “broccato d’oro, divisa in modo uniforme da falpalà di perle, giaietto e zaffiri, le cinge il busto in un corpetto attillato, con ricami colorati che raffigurano i dodici segni dello Zodiaco. Porta dei calzari molto alti, uno nero, tempestato di stelle d’argento, con una mezzaluna, l’altro bianco, ricoperto di gocce d’oro con in mezzo il Sole…”1. Una finzione molto afrodisiaca. Recentemente Calzedonia (un marchio del Gruppo multinazionale Oniverse) ha immesso sul mercato una serie di Collant velati con in rilievo i segni dello Zodiaco. È suggestivo osservare, non solo il riprodursi della mistificazione visionaria di sant’Antonio-Flaubert, bensì il mutarsi del corpo femminile in un percorso astrale, in uno spazio da sempre oggetto del desiderio erotico; così da cosmicizzare il corpo della donna, trasformando un capo di moda nell’affioramento d’una memoria arcaica. Negli stessi luoghi lungo il Nilo, dove il santo abate era attratto in estatismi erotici, il cielo era immaginato come il corpo cosparso di stelle della dea Nut, china verso la terra. Già dai tempi antichi in Egitto specifici gruppi di stelle furono raggruppati in costellazioni, fra le quali i Decani identificabili a partire dal 2150 circa (IX dinastia) nella tradizione figurativa; si tratta di trentasei costellazioni poste in prossimità dell’equatore celeste (ossia dell’eclittica) che nella terza fase dello sviluppo dei Decani, all’epoca dei Tolemei, vennero tutte inglobate nello Zodiaco. Fra i Decani già alcune raffigurazioni (come l’Ariete, i Gemelli, il Capro, le Brocche e i Pesci), che si possono senz’altro considerare gli archetipi delle successive raffigurazioni zodiacali – il Papiro Carlsberg I del II sec. a. C., e il rilievo del cosiddetto “Zodiaco rettangolare” di Dendera, I sec. d. C., testimoniano come ancora in epoca tarda s’immaginasse che il percorso dei Decani transitasse sul corpo della dea Nut. 

Spostandoci in un spazio più vicino a dove sono stati concepiti i Collant zodiacali, nella chiesa bizantina di Santa Maria Foris Portas (sec. VIII-IX), a Castelseprio (Varese)2, troviamo i Magi evangelici indossare pantaloni, gli anaxyrides o “saraballe”, sgargianti3 e mantelli azzurro cielo. Un vestiario simile si ritrova in due personaggi dipinti ai lati dell’abside nel Mithraeum della città partica di Dura Europos, ora conservato nell’Art Gallery dell’Università di Yale (CIMRM, I, 44 [fig. 22 a-b]). In più il terzo Mago ha i pantaloni azzurri cosparsi di stelle. Un particolare saliente che lo rende consustanziale all’astro da lui atteso e venerato nelle sembianze del bambin Gesù. Una sacrale anticipazione dei collant calzedonici nati in provincia di Verona. I re partici sostenevano di avere un’origine ignea e celeste; discesi dal cielo in una colonna di fuoco, essi recavano il segno carismatico dello xvarǝnah, il potere fulgureo4, l’aura gloriæ irradiantesi dal capo dei sovrani iranici, come testimonia un’ampia iconografia5. Ammiano Marcellino (XVII, 5, 1) trascrive un epiteto che il Re dei Re Šābuhr si attribuiva per vantare la propria discendenza divina, la parentela con gli astri e con i due luminari: particeps siderum, frater solis et lunae. Nel mito regale, il re Mithridate Eupatore era incarnazione di Mithra e, al pari del dio, era nato in una caverna da una stella discesa dal cielo, di fulgore superiore a quello del Sole; le stesse vesti dei sovrani iranici comprendevano una tiara e un abito cosparsi di stelle6. Il corpo è la carta geografica dell’assoluto7, sui nei, sui punti neri, nel solco delle rughe, nell’incavo delle ascelle si possono leggere le più riposte geometrie di Dio. Un aristotelismo portato all’estremo era la specialità di padre Antonio Rocco (1586-1652), cui si deve il libro più maledetto di tutta la storia della letteratura italiana, L’Alcibiade fanciullo a scola, che gli recò un primato assoluto tra gli appassionati di perle degli inferni bibliotecari8. Nemico di Galileo, l’aristotelico Antonio Rocco evocava nella pederastia il legame con il tutto, i corpi dei bei giovani uno strumento verso l’immortalità astrale. Ma, in definitiva, le possibilità reali di leggere questo libello furono minime, se non inesistenti, al di fuori d’una sparuta comunità d’eruditi erotomani. 

Alla fine non si può non menzionare il francese André Pieyre de Mandiargues (1909-1991), lo scrittore prediletto da Walerian Borowczyk (1923-2006), il regista un tempo adorato da torme d’erotomani. Autore fortemente influenzato dalla lettura di un noto scrittore francese di cose esoteriche e “tradizionali”, René Guénon (1886-1951), Pieyre de Mandiargues applicava la teoresi “gnostica” di Guénon un po’ ovunque nella sua opera, configurandola in una dinamica prettamente erotica. Nel racconto La spirale, un incauto viaggiatore giunge in una strana città, dal nome emblematico di Santa Copula: “Santa Copula ha la forma di una stella marina; la pianta della sua costruzione, infatti, è una stella a cinque punte, quasi regolare, la cui circonferenza è segnata da un muretto di colore bruno come la terra circostante; la sommità di ciascuno di questi rami porta una grande statua di un uomo nudo con il fallo eretto. Mentre una statua di donna nuda di uguale altezza, ma le cui gambe divaricate formano un arco a volta sotto il quale si passa, si trova in cima a ciascuno di questi rami; la punta di ciascuno dei cinque angoli interni, e queste cinque porte formano i vertici di una vasta piazza stellata che occupa il centro della città. Le cinque statue di uomini sono dipinte di nero; le cinque statue di donne sono dipinte di bianco”9. La dicromia nero (maschile) vs. bianco (femminile) tradisce un insegnamento ermetico-alchimico appreso nelle pagine delle opere guénoniane; su tale frequenza è il riferimento alla «Croce di Sant’Andrea», cioè il segno X, omologa alla lettera greca chi, l’anima del mondo nella formulazione platonica. Tale grafema nasconderebbe segrete ascendenze in misteriosi rituali erotici: al centro della piazza stellata di Santa Copula, una donna dovrebbe avere rapporti sessuali con un certo numero di “negri” (così nel testo), per riprodurre la dicromia ermetica; in tale posizione, con le braccia incrociate, “la donna deve avere rapporti con almeno dieci uomini, se non il doppio o più…”10. Il sedicesimo capitolo di Simboli della scienza sacra di Guénon è intitolato Teste nere, ed in esso ci si riferisce agli Etiopi. Guénon trae l’etimologia del nome probabilmente dal greco aithiops, dal duplice significato di “etiope”, come sostantivo e di “scuro” come aggettivo11, che a sua volta deriva da un passo del commentario di Olimpiodoro all’alchimista Zosimo; una sequenza molto ambigua che sicuramente tradisce una qualche pratica sessuale: “Prendi il crisolito. Quello che è chiamato maschio della crisocolla e uomo che compirà il mescolamento. Le sue gocce partoriscono l’oro sulla terra etiopica. Là un genere di formica estrae l’oro, lo porta alla luce del giorno e se ne diletta. Mettigli accanto la donna di vapore, sino a quando non sia mutato…”12 Sempre Guénon fa poi riferimento agli Egiziani in quanto popolo “nero” che abita la “terra nera” e in quanto tale svolge una funzione simbolica negli scritti ermetici e rappresenta la prima fase dell’opera alchimica, la nigredo, cioè i “negri” del racconto; egli afferma che il nero e il bianco sono legati alla manifestazione e alla non-manifestazione, così come lo sono le manifestazioni esteriori e interiori dei grandi prìncipi spirituali. In questo caso l’erotismo diventa rivelazione dell’esteriorità manifestativa, cosmicizzando il corpo in un sovrapporsi d’artifizio e realtà. Allo stesso modo in cui nella grande  Encyclopédie Denis Diderot (1713-1784) celebrava la “macchina” per fabbricare calze – antesignana della contemporanea Calzedonia – investita d’una sorta di perfezione intellettuale, un trucco pre-industriale per potenziare la seduttività femminile13. Infine, una precisazione locale: il primo che produsse industrialmente calze similseta per permettere alle giovani donne del popolo di avere la stessa eleganza delle “madamine” piemontesi fu Riccardo Gualino (1879-1964), che le produsse con la viscosa, la prima fibra sintetica industrializzata scientemente per il mercato femminile, che ispirò anche una canzone del grande jazzista e intrattenitore Fred Buscaglione (1921-1960): “Esta é la cancion de Porfirio Villarosa / Che faceva el manoval alla Viscosa…”14. Gualino confezionava le calze nello stabilimento alle estreme propaggini della Barriera di Milano, dove lavoravano dodicimila dipendenti, e oggi c’è un Supermercato, in milioni di esemplari che vendeva in tutto il mondo15. Poi Mussolini lo spedì al confino e gli confiscò le proprietà.

Note

  1. G. Flaubert (1874), La tentazione di sant’Antonio, trad. it., Carbonio Editore, 2023, p. 39.
  2. A. Grabar, Les fresques de Castelseprio, in L’art de la fin de l’Antiquité et du Moyen Âge, vol. 2, College de France, 1968, pp. 977 ss.; R. Farioli Campanati, La cultura artistica nelle regioni bizantine d’Italia dal VI all’XI secolo, in Aa.Vv., I Bizantini in Italia, Scheiwiller, 1982, p. 212 a-b 
  3. F. P. Massara, s.v. «Magi», in Temi di iconografia paleocristiana, a cura di F. Bisconti, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 2000, p. 207 a.
  4. G. Gnoli, s.v. «Farr(ah)», in Encyclopaedia Iranica, vol. 9, a cura di E. Yarshater, The Encyclopaedia Iranica Foundation, 1999, pp. 314 a-315 b.
  5. J. Bauer, Symbolik des Parsismus, Hiersemann, 1973, pp. 100-101, tav. 74 (figg. 1 a-29).
  6.  G. Widengren, The Sacral Kingship of Iran, in Aa.Vv., La Regalità Sacra/The Sacral Kingship. Contributions to the Central Theme of the VIIIth International Congress for the History of Religions, Brill, 1959, pp. 245-246; 253-259.
  7. L. Scarlini, La filosofia è un’estasi gaya. Il pensiero proibitissimo di Antonio Rocco, in Rinascimento Babilonia. Una storia erotica dell’arte italiana, Marsilio, 2020, pp. 111-113.
  8.  A. Rocco, L’Alcibiade fanciullo a scola, Salerno Editrice, 1988.
  9. A. Pieyre De mandiargues,  Sous la lame, Gallimard, 1976, pp. 123-124.
  10.  Sous la lame, p. 126.
  11. R. Guénon (1962), Simboli della scienza sacra, trad. it., Adelphi, 1975, pp. 89-91.
  12.  Hiera Tech. 43, in Olimpiodoro. Commentario al libro di Zosimo “Sulla forza”, alle sentenze di Ermete e degli altri filosofi, a cura di E. Albrile, Mimesis, 2008, p. 85.
  13. R. Barthes (1967), Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, a cura di G. Marrone, Einaudi, 2006, pp. 122-123.
  14.  Si tratta del 45 giri Porfirio Villarosa, di F. Buscaglione & L. Chiosso (Cetra DC 6422, 1955), poi incluso nell’LP Fred Buscaglione & i suoi Asternovas (Cetra, LPA 42, 1956).
  15. R.  Gualino, Confessioni di un sognatore, Marini, 2021.

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