di Roberto Papini Tivitavi

In questa serie si accostano due lavori che hanno una distanza temporale di quasi vent’anni: Universo di segni è un progetto sul segno e il colore oro come elemento ricorrente a cui sto lavorando da qualche anno, insieme a Di che morte moriremo?, una serie di collage di giornali su stoffa e cuciture a macchina, del 2003, il periodo della guerra in Iraq. 
In Universo di segni si incontrano la fascinazione per l’uso del fondo oro dell’arte orientale e dell’arte sacra, nella narrazione dell’annunciazione del divino.
L’oro, un non colore che si avvicina alla luce, in questo caso diventa materia vibrante che forma la terra e i pianeti, portando l’osservatore a viaggiare nel segno in una dimensione spaziale estesa dove un gesto diventa massa in movimento come l’origine della formazione  degli ammassi stellari o della stratificazione geologica terrestre.
Lo sguardo può viaggiare liberamente nello spazio infinito del segno informale, nelle crepe del nero, come in un profilo che ci riporta subito al paesaggio e a vette lontane, ma non impossibili da raggiungere.


In questo anno passato la nostra idea di libertà è profondamente cambiata, da società globale in movimento, ci siamo ritrovati in un improvviso mutamento geografico con un ritorno impensabile dei confini regionali e locali, dove spostarsi da un luogo a un altro è diventato faticoso o quasi impossibile. In Universo di segni le immagini ci restituiscono la libertà del viaggio interiore, quello che lo sciamano compie lasciando il corpo e facendo volare gli occhi, sono universi, mondi in cui spostarsi per andare lontano e tornare. Un altro dato che abbiamo appreso in questo periodo, se ce ne fosse bisogno, è che il pianeta non ha bisogno di noi umani per continuare la sua evoluzione. Anzi, la Natura ha dimostrato di potersi rigenerare molto rapidamente se l’uomo-macchina si ferma per un istante. In questi lavori, non c’è la presenza umana, nemmeno una traccia, è una dimensione aurea e cosmica della Natura incontaminata, del pianeta in un’era indefinita, passata o futura che sia e quindi eterna. Libero della nostra civilizzata e ingombrante presenza, per ritrovare un’ eco antropomorfico bisogna fare il percorso inverso, seguendo il gesto dell’autore e ritrovare la mano dell’uomo che liberamente e volontariamente lascia un segno del proprio passaggio.
Questa assenza dell’umano ha reso ancora più drammatico e attuale l’accostamento dei quotidiani cuciti di Di che morte moriremo?. Una domanda che ha assunto una forza incredibile in questo anno di Pandemia, non solo per la conta dei morti a cui assistiamo quotidianamente, dove i numeri diventano sempre più astratti, ma anche per il ritorno di paure ancestrali che pensavamo relegate a tempi remoti. Un domanda alla quale ognuno di noi dovrebbe rispondere con una scelta: di che morte voglio morire? Quindi, come voglio usare il mio tempo e il mio spazio? Come voglio abitare il mio corpo? Durante il periodo della guerra in Iraq, costruita a tavolino sulla base di una serie di menzogne smascherate alcuni anni dopo, iniziai a ritagliare figure di bambini che si tengono per mano, poi queste figure diventarono donne che danzano e uomini che vanno al lavoro o in guerra. La società: tutti uniti da un filo che li collega e da un filo rosso che li unisce nella vita e nella morte. Tutti allineati in un sistema ordinato, a file come nei primi videogames degli anni ‘80, ma soprattutto tutti vittime di una sistema che per convincerti che il tuo posto non è poi così male perché quello davanti e quello dietro forse stanno peggio, deve per forza raccontare solo una parte della verità. Da qui la forza di alcuni titoli che emergono tra le figure e contrastano con la giovialità infantile delle sagome. Il potere dei media, che in questo periodo ha mostrato tutte le falle del sistema, dove le notizie e i dati vengono usati e modificati, come macigni per orientare e spaventare le masse a cui viene chieste di allinearsi, di “mettersi in fila”, rende queste collane di carta, Kirigami in giapponese, tremendamente attuali. Chi tra noi in questo ultimo anno non si è trovato a fare file per qualunque cosa? In questo mare di notizie che ci travolge, dove non riusciamo più a distinguere la verità dalla menzogna e dove persino chi tenta di fare informazione correttamente è in difficoltà, un bagliore di speranza appare dall’immagine dei bambini in fila che tengono un palloncino, un umano leggero, in grado di sollevarsi sulle cose e vedere il mondo da una prospettiva nuova. L’unico che esce dalla fila ed è tenuto da un bimbo, legato da un lungo filo verde al pianeta terra. La speranza è che prima o poi atterri e torni nuovamente ad abitare il pianeta, possibilmente senza ripetere gli errori del passato.

Di che morte moriremo?

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