di Enrico Camanni 

La Montagna Sacra, titolo del mio ultimo libro, è una provocazione – un piccolo pezzo di terra libero dall’impronta umana – ed è molto di più: perché siamo arrivati a questo punto? Perché abbiamo disimparato a convivere con la natura, dimenticando che noi siamo natura? Croci sulle cime, bandiere di guerra, strade, funivie, tutto questo per ridurle al servizio dell’uomo. 

Le montagne esistono perché noi possiamo scalarle, possiamo camminarci, possiamo sciarci? Ha senso, in un ecosistema così fragile, perseguire un modello di sviluppo fondato sulla crescita, sull’aumento anno dopo anno di turisti e di impianti? Perché altre culture, dall’Himalaya alle Ande, hanno immaginato l’esistenza di montagne sacre, luoghi da cui l’uomo dovesse restare lontano? Cosa ci insegna questa idea di limite? Se sulle carte geografiche non esistono più spazi bianchi e inesplorati, in montagna non esistono più vette inviolate, in particolare sulle Alpi. Ogni anno, di pari passo con la scomparsa della neve, aumentano gli impianti di risalita a quote assurde e non si arrestano i disegni speculativi – dalla spinosa questione delle Cime Bianche sotto il Cervino ai progetti invasivi sul Sassolungo, nel cuore delle Dolomiti, agli impianti per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. Anche la cultura alpinistica, un tempo attenta a definire dei limiti per garantire il proprio futuro, sta accettando una sempre maggiore spettacolarizzazione e una competizione senza più vincoli. No limits. Contro questa deriva è nata, nel 2022, una proposta che ha scosso tutta la comunità alpinistica italiana: scegliere una cima – il Monveso di Forzo, tra la Val Soana e la Val di Cogne – e dichiararla “sacra”, impegnandosi a non salirla. Non calpestarne più la vetta. Una proposta che ha acceso un grande dibattito, dividendo il mondo degli ambientalisti e dei frequentatori della montagna. E non solo. Ma una cima non sottomessa ai capricci dell’uomo, sull’esempio di quanto avviene da secoli in Himalaya e sulle Ande, è la strada giusta per ritrovare il senso del limite che abbiamo perso? È così che la montagna può tornare a essere una maestra di vita? 

Nell’estate del 1907 gira la voce di un treno per il Cervino. La storia è emblematica: se all’inizio del Novecento si poteva già stendere un binario sulla parete est del Cervino, pensate che cosa siamo in grado di fare oggi. Potremmo spianare le montagne, bucarle, farne ghiaia da costruzione, smontarle a pezzi e rimontarle a Disneyland per i giochi dei bambini, oppure eliminarne definitivamente l’ingombro dalla Terra. Tutto possiamo, e molto tramiamo, perché la tecnologia ha fatto passi da gigante mentre l’etica ambientale è inchiodata alle leggi del mercato, con un macroscopico squilibrio tra il progresso della scienza e quello della coscienza.

Non è uno scontro tra cattivi e buoni, anche questa sarebbe una semplificazione. È che per la seconda volta nella vicenda umana, l’uomo è completamente responsabile della propria sopravvivenza. La prima volta è accaduto alla metà del secolo scorso con l’invenzione e la produzione della bomba atomica. La seconda volta è adesso con i gas serra e il riscaldamento globale.

E poi c’è il limite, quel destino ineluttabile che ci definisce e al contempo ci impedisce, generando gli innumerevoli, umanissimi e talvolta disperati tentativi di ingannare la finitudine e la morte attraverso il successo, il denaro, il sesso, il potere e altre illusioni di onnipotenza. Non è affatto semplice imporre dei limiti a noi stessi, ed è ancora più difficile porli allo sviluppo sfrenato e dissennato del consumismo, dopo che ha regalato decenni di benessere alla fetta fortunata del mondo. Ma qui ormai si parla di sopravvivenza. La recente storia delle Alpi, uno dei territori più fragili e preziosi del pianeta, perfetta rappresentazione del mondo occidentale, mostra quanto il limite sia stato sistematicamente superato e umiliato, e con quale evidenza la natura ci stia presentando il conto. Come scriveva Laura Conti molto tempo fa, “da qui in avanti, il momento più facile in cui fermarsi è ora. Ora è più difficile di ieri, ma è più facile di domani”. E oggi è già domani.

Il testo è un breve estratto, scelto dall’autore Enrico Camanni, dal volume La montagna sacra, Laterza, 2024.

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