Loquacità: diagnosi e cure secondo Plutarco

di Anna Vergot

Viviamo nell’epoca delle comunicazioni, della libera circolazione delle parole: tutti parlano con tutti e possono parlare di tutto, in una democrazia di idee ed espressioni; sui social network il linguaggio scritto è sempre più simile a quello parlato, e l’uso di parole a sproposito e senza misura è sempre più comune, per non parlare di ciò che ci propone la televisione, come i reality show, i dibattiti politici e i talk show, dove i partecipanti parlano gli uni sugli altri senza un dialogo costruttivo, mentre i

conduttori, incapaci di riportare l’ordine, alimentano lo sproloquio. Molti di noi ormai si sono abituati a questi modelli, e ciò che ne consegue sono discorsi insignificanti, racconti di qualsiasi avvenimento della propria vita senza curarsi dell’interesse dell’interlocutore, o, quasi peggio, l’abitudine di commentare tutto subito, in maniera anche arrogante, senza possedere le conoscenze adeguate e senza rispettare il pensiero altrui. Di “parole a sproposito” parlava già quasi duemila anni fa Plutarco, biografo scrittore e filosofo greco antico, vissuto sotto l’Impero Romano, che nell’opera Vite parallele dei Greci e dei Romani scrive un saggio intitolato Sulla loquacità, nel quale descrive umoristicamente quel chiacchierare vano e incessante come una malattia, indica i rimedi ed elogia l’arte del silenzio. La cura che egli propone sarebbe “indurre i chiacchieroni, attraverso il dialogo, a riflettere sul loro vizio. La terapia vuole persone capaci di ascoltare: peccato che questi non sappiano farlo!”. Anche la diagnosi è chiara: “il chiacchierone è tale perché il suo orecchio non è collegato al cervello ma alla lingua.” Il problema è quindi che queste persone non sono capaci di ascoltare. Il primo esercizio proposto dall’autore è quello di esercitarsi a non rispondere quando sta parlando qualcun altro; non bisogna assolutamente anticipare chi è interpellato e si può intervenire solo se chi è stato interrogato non è capace di rispondere. Ci sono tre modi per rispondere: limitarsi allo stretto necessario, dare una risposta gentile con le giuste spiegazioni e dare una risposta eccessiva. Il terzo modo è sempre sbagliato, gli altri due vanno adeguati alla situazione. Al giorno d’oggi sembra che le esigenze siano apparire competenti davanti agli altri e parlare a tutti i costi, e sono entrambe cose rischiose: la perenne autoreferenzialità non produce alcun apprezzamento dagli altri, mentre l’intervenire su ogni argomento ci rende meno credibili. Chi parla troppo lo fa per indurre gli altri a stimarlo, ma in realtà difficilmente trova chi sia disposto ad ascoltarlo e a prestargli fiducia. Spesso le chiacchiere sfociano poi in pettegolezzi e maldicenze, che portano queste persone a non essere mai credute, anche quando stanno dicendo il vero, mentre discrezione e silenzio suscitano approvazione, di solito la loquacità non èapprezzata e spesso porta brutte conseguenze. Teofrasto, illustre discepolo di Aristotele, distingue varie categorie di chiacchieroni: il chiacchierone instancabile, che divaga perdendo il filo del discorso senza finire mai; il presuntuoso, che parla continuamente interrompendo sempre gli altri; il mitomane, che racconta storie inventate e che parla unicamente allo scopo di ferire e infangare chiunque.

Alcuni consigli che si possono trarre dagli scritti di Plutarco sono:

Non autoelogiarsi ma lasciare che siano gli altri a parlare bene di te;

Ascoltare molto e crearsi una propria opinione prima di esprimerla;

Imparare a dosare le parole, imparare ad apprezzare il silenzio;

Non anticipare le risposte altrui e parlare quando è il proprio turno;

Non interrompere i discorsi altrui e cercare di attirare l’attenzione su di sé;

Non rispondere immediatamente ma riflettere su ciò che si vuole dire;

Rispondere alle domande in modo cortese e non aggiungere informazioni non richieste o inutili;

Rispettare l’argomento della discussione;

Mantenere la riservatezza di ciò che qualcun altro dice e non trasmetterlo ad altri.

Per Plutarco il silenzio e l’ascolto sono arti che ognuno può apprendere e perfezionare, sono ciò che porta ad un arricchimento personale e una conoscenza interiore, per poter così correggere i propri difetti e superare i propri limiti. In questa società che ha perso la dimensione del silenzio, che ci sta facendo perdere la capacità di ascoltare, dovremmo imparare a spegnere tutto e stare solo in silenzio, spegnere anche la nostra mente, che lavora sempre a ritmi frenetici e dispersivi, che invece di arricchirci ci affatica e confonde. Dovremmo imparare, attraverso il silenzio, ad ascoltarci e ascoltare, per poter davvero capire noi stessi e gli altri, trovare un nuovo equilibrio e riappropriarci della nostra capacità di comunicare.

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