Lezione di vento

di Marco Ercolani 

per Gustavo Giacosa

Siete arrivati. Ve lo hanno permesso. Quanti anni avete? Diciannove, venti, oltre? Mi conforta sapere che siete qui, davanti me, e che quindi posso iniziare. Non c’è nulla di più bello che iniziare. Ogni volta che finite di leggere un libro, non vi respira dentro un demone sconsolato e insoddisfatto che vi costringe a iniziare ancora? Non sapete cosa. Restate attoniti a riascoltare il suono di un aggettivo, il ritmo di una frase; perdete di vista il discorso, vi immergete in suoni casuali, immaginate una certa musica. Bene. Non pensate di sbagliare ma, semmai, di fare un altro viaggio, dove sia naturale e indispensabile la bellezza. Quella bellezza, solo vostra, che non verrà mai messa a tacere. Un sopruso, un delitto, un crollo, la minerebbe. Ma lei si oppone perché così volete. Tutto è complesso (mente, fantasia, desideri, sogni, progetti), ma quando non vi arrendete a qualcosa di prevedibile diventa semplice, come acqua che scorre. Per essere semplici dovete sapere cosa potete e quando potrete. Poi sarete liberi di spiccare il volo verso il mondo che volete. 

Certo, questa lezione vi arriva da un docente che parla dentro un edificio semicrollato. Ma come docente non sono vincolato a nessuna materia e, se questa casa è pericolante e piena di crepe, io e voi sappiamo perfettamente perché. Ma non dobbiamo parlarne ora: questo è un altro argomento. Oggi, si tratta di vedere come funziona, oltre ogni artificio, la libertà della psiche.

Il governo ha deciso che questa lezione sia possibile. E qui, nell’aula, non ci sono microfoni. Non hanno avuto tempo di organizzare controlli: tutto va di fretta, con la solita incuria, anche il potere. Noi entriamo in questa pausa, dove neppure si accorgono di noi. In ogni pausa c’è libertà, sempre, e salvezza, dentro un universo molteplice, non definito dall’intelligenza, sospeso fra prosa e poesia. Vi ricordo che siamo qui, per una lezione di vento, in un luogo estremo che avrebbe dovuto crollare. 

Ogni sapere che noi pensiamo è dentro di noi. L’immagine che si forma adesso nei nostri occhi potrebbe esistere anche senza di noi ma ci attraversa proprio in quel momento: noi siamo come quelli che, affacciati a una finestra, vedono il lampo e lo trascrivono come possono. Innumerevoli sono i lampi, innumerevoli i racconti del messaggero che ha assistito all’evento o di tutti i messaggeri che hanno assistito all’evento. Il lampo esiste, certo, senza di loro, ma si racconta attraverso di loro. Noi tutti siamo le voci diverse di un unico racconto. E oggi questo racconto è aperto e possibile: siamo noi i portatori sani di questo possibile. Tutto è visione che non si appaga nell’essere capita, mistero senza enigma, fonte di meraviglia e di domande. Noi però vogliamo capire: vediamo non solo con gli occhi ma con tutto il corpo, con la speranza che domani nessuno ci riconsegnerà al mondo delle cose normali e ci lascerà vivere il nostro giusto delirio. Nessun paesaggio appartiene all’uomo se prima non l’ha calato nei luoghi della sua mente. In quei luoghi, dove parlare di inferno o di paradiso significa fare giochi di parole, niente può definirsi o astratto o figurativo. Tutto è un fluire di forme, e queste forme hanno un solo privilegio: non essere né rigide né curve né significative né bizzarre. In quei luoghi, immuni da ogni artificio, ci può essere accordo o disaccordo, macchia e figura, immagine e buio. Tutto diventa realmente possibile. 

Queste non saranno lezioni di estetica, come immaginate, ma di libertà. Io non sono un filosofo ma uno psichiatra. Uno psichiatra, cosa insegna? La scienza discontinua e infelice della libertà. Ha il compito di vedere, nella voce, nei gesti dell’altro, che cosa lo abbia ferito in quel punto esatto. Si accanisce a cercare il vero in ogni persona, e non sono fondamentali le parole che l’altro dice ma il modo in cui le dice o le tace. Quelle mi hanno permesso di essere qui a parlarvi: chi ci comanda sa che io non istigo, non provoco, non faccio politica attiva: mi limito a osservazioni inattuali. Ma voi, di queste osservazioni, fate armi. La vera arma è sentire la possibilità dell’aria nel tessuto delle cose. Non si può nulla, senza aria. Ti avvolge, comune a tutti: ma per ognuno c’è la sua aria, nel tempo in cui vive la possiede e, quando sparirà dal mondo, la lascerà ad altri, traforata dai suoi segni. Qualcuno li vedrà, forse. Qualcuno no. Il destino è destino. Però è indegno non avere speranza. Ricordate che chiunque muove le mani su qualche superficie, foglio o muro o terra che sia, chiunque agita le dita cercando forme, lo fa perché cerca, nel suo tatto, la nostra metamorfosi. La materia non è mai quel numero esatto di protoni, ma l’energia che li rende pulviscolo. Ecco, in sintesi, la mia lezione di vento.

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