di Elisabetta Gola
Tutto questo può finire? È la domanda che spesso mi viene rivolta dalle persone che sanno che mi occupo di intelligenza artificiale da quando c’era molto poco di intelligente e molto di artificiale. Gli anni Novanta, ossia un’epoca in cui l’IA non era mainstream come oggi e le persone che lavoravano a sistemi linguistici, sistemi esperti, simulazioni, non sapevano nemmeno bene come definirsi: computer scientist? Linguisti computazionali? Artificialisti? Ancora negli anni 2000 (solo 20 anni fa) le risorse digitali disponibili erano relativamente poche, i social non esistevano, Internet era lento, gli smartphone poco smart. Ma c’erano moltissime start-up, progetti di ricerca, riflessioni in circolo che avrebbero portato all’accelerazione verso il mondo che conosciamo oggi e di fronte a cui proviamo insieme gratitudine e paura. Oltre che un certo senso di impotenza, perché “no, tutto questo non può essere fermato”. Il panorama dell’uso delle tecnologie della comunicazione (e del pensiero) continuerà a cambiare, ma immaginare uno stop significa immaginare anche un evento catastrofico. Sono infatti tecnologie che si sono ibridate con tutti gli aspetti della nostra vita individuale e sociale: gli smartphone sono diventati estensioni della nostra mente, gli algoritmi inseriti nelle piattaforme social ci profilano e ci propongono avvisi personalizzati che vengono autonomamente corretti in base alle nostre risposte (Cfr. A. Clark, What Generative AI Reveals About the Human Mind, 5 gennaio 2024, https://time.com/6552233/generative-ai-reveals-human-mind/); i robot sostituiscono sempre più spesso gli umani (in fabbrica, in sala chirurgica, nei bot personalizzati, per fare solo qualche esempio). L’IA sin dalla sua nascita (anni ’50 -’60), ci ha insegnato quali sono le caratteristiche specie-specifiche degli esseri umani e quali quelle surrogabili da una buona automazione: quello che apparve subito chiaro, sin dalle prime realizzazioni della “macchina di Turing”, l’antenato teorico dei moderni computer, è che era molto più “semplice” imitare e realizzare ragionamenti di natura matematica (difficili invece per gli esseri umani), che il ragionamento di senso comune e le emozioni (di cui invece la specie umana è naturalmente dotata). Era relativamente semplice creare una sintassi di linguaggi formali o naturali, molto più complesso (e spesso fallimentare) aggiungere il livello della semantica referenziale e soprattutto della pragmatica. Un calcolatore ben programmato riconosce come corretta una frase come il famoso esempio chomskiano “Idee verdi dormono furiosamente”, senza rigettarla in quanto priva di senso. Un sistema generativo ben addestrato però, come Chat GPT, oggi la comprende come un essere umano:
La frase “Idee verdi incolori dormono furiosamente” è considerata senza senso semantico perché combina parole e concetti in modo apparentemente incoerente.
Segue una spiegazione tecnica corretta e dettagliata che, se venisse data da un qualunque studente o studentessa di un corso di linguistica di base, porterebbe senz’altro a un buon voto. Ossia, Chat GPT 3 supererebbe quello che è stato chiamato Test di Turing, confondendosi totalmente con risposte che potrebbero essere date da esseri umani. Vediamo sempre più vicino uno scenario in cui naturale e artificiale sono sempre più interlacciati. Tutto questo ci porta a una verità che sappiamo da molto più tempo rispetto all’apparizione sulla Terra dell’IA: siamo l’unica specie vivente in grado di portare l’evoluzione oltre i limiti della specie stessa, ibridandoci con la tecnologia, da cui è poi difficile separarci. Siamo Natural Born Cyborgs, secondo la felice definizione del filosofo Andy Clark, ed è possibile che in futuro ci saranno Artificial Created Humans (robot o esseri nati da procreazioni assistite), diretti discendenti dei Sapiens Sapiens, con cui auspichiamo una pacifica convivenza e l’aggiunta di un “Sapiens” in più. L’alternativa sarebbe un conflitto da cui gli umani uscirebbero quasi certamente sconfitti.

Sitografia
A. Clark, What Generative AI Reveals About the Human Mind, in Time, 5 gennaio 2024, https://time.com/6552233/generative-ai-reveals-human-mind/.